di Giuseppe Liuccio
Fu l’orizzonte dei miei sogni di bambino a gonfiare di fantasia i viaggi di evasione a fuga dalla cova del nido sugli anissi di montagna del paese: Trentinara. Fu la prima confidenza con l’acqua salata a stropiccio di battigia a ricerca di stupore di conchiglie screziate e pietre multicolori levigate dal lavoro paziente della risacca. Mi alimentò gli studi rigorosi a scoperta di radici nel Mediterraneo del mito e della storia. E’ il porto degli approdi di ritorno a sosta di vagabondaggi con l’ansia della “curiositas” di Ulisse inquieto. E’ la mia Itaca. E’ il mare di Paestum.
Baluginò di luce nelle albe chiare e conflagrò di fuoco nei tramonti di agosto dall’ultimo avamposto della “kora”, dove nacqui ad eredità di fierezza dei Padri Lucani aperta a porosità di penetrazione di grazia, armonia ed eleganza dei Greci invasori. Dal Sele al Solofrone ed oltre, quel mare ha scritto la grande storia della mia terra. E narra di Giasone che vi approdò, carico di gloria e di bottino, a sacrificare devoto ad Era Argiva per la conquista del vello d’oro. E sulle ali del vento s’impiglia nel fogliame della pineta e trasmigra a carezza di templi, fori e terme il canto degli Achei a fondazione di una città prospera e potente,
Eppure, mutuando il titolo di un fortunato romanzo di Anna Maria Ortese dedicato a Napoli, Paestum nel nostro caso, “Il mare non bagna Paestum”, semplicemente perché i Pestani non hanno un buon rapporto con il mare. Sarà per la naturale diffidenza di chi, nel corso dei secoli, quel mare lo ha visto imbufalirsi e, in una perfida gara di complicità con i corsi d’acqua a displuvio di montagne, impaludare la pianura. Sarà perché quel mare si è popolato di predoni assetati di sangue e di razzie. Sarà perché la mancanza di approdi sicuri non ha consentito di scrivere sulle acque la grande epopea del lavoro dei traffici, dei commerci e della pesca.Certo è che i Pestani non hanno un rapporto di confidenza, di complicità e di sfida con il mare, come, invece, i loro antenati che la città la fondarono sulle acque; e ne è testimonianza la “Porta Marina”, che di sicuro si affacciava sul “sinus” (porto) brulicante di traffici sulle rotte da e per il Mediterraneo. Non si spiega diversamente lo scarso utilizzo della straordinaria risorsa della “fascia pinetata”: un grande polmone verde, che ha conosciuto la violenza dell’abusivismo edilizio, per latitanza o, addirittura, complicità dei Pubblici Poteri; ed in più parti porta ancora i segni dell’abbandono. Non si spiega diversamente il silenzio quasi assordante, di amministratori, operatori economici e cittadini,salvo rarissime quanto lodevoli eccezioni, di fronte al progetto dissennato di una colata di cemento per bloccare il fenomeno della erosione della costa Non ha altre spiegazioni la fiera vociante degli stabilimenti balneari, cresciuti a dismisura e senza gusto negli ultimi anni con la sfacciata voracità di quanti hanno fiutato il business della vacanza ed hanno occupato porzioni di demanio con , ma spesso anche senza, la legittimità delle concessioni. Eppure quei chilometri di pineta potevano e dovevano consentire di far nascere e sviluppare una “Versilia del Sud” con una marcia in più, rispetto a quella del Centro Nord: la grande archeologia e i preziosi contenitori culturali dei centri storici dei paesi disseminati sui crinali delle colline circostanti. Ma non tutto è perduto, a condizione che si appronti una progettualità credibile e praticabile: sarà il tema del mio prossimo articolo, che andrà, come sempre, in controtendenza rispetto al lavorio/inciucio di quanti preparano solo le liste dei candidati per le ormai imminenti elezioni amministrative all’insegna di uno sfacciato “trasformismo“, con l’intento sottaciuto, ma non troppo, di accaparrarsi più i portatori di voti che di idee. Sarò pure un inguaribile sognatore, ma io non rinunzio alla mia “folle utopia“. E mi illudo che ci sia un buon numero di lettori, soprattutto giovani, che si lascino contagiare di entusiasmo dalle idee e dai progetti aperti a porte di futuro. Per la verità, due dei candidati/sindaco, Nicola Ragni e Francesco Palumbo, che mi onorano tutti e due della loro amicizia, anticipando su questo giornale, a grandi linee, i rispettivi programmi elettorali, hanno messo l’accento, entrambi, sulla risorsa mare. Ne sono felice. Mi auguro che lo facciano anche gli altri, scegliendo tutti, i temi su cui confrontarsi e dialogare durante i mesi della campagna elettorale per riempire di contenuti un progetto, a cui possano guardare non solo i capaccesi pestani ma anche tutti gli abitanti della vasta kora (pianura/colline) che vi fanno riferimento per storia, economia e tradizioni. Io, nel mio piccolo, come intellettuale operatore dell’informazione questo dialogo/confronto lo privilegerò nelle mie analisi, convinto come sono che questo metodo è una strada feconda di futuro. Pertanto nelle settimane a venire parlerò di: fascia pinetata, come naturale appendice del mare, di coriandolizzazione/parcellizzazione/degrado delle contrade, dell’agricoltura/commercializzazione dei prodotti agricoli, dei Beni Culturali, del Turismo, della infrastrutturazione dei servizi, del rapporto di dare/avere, di portata storica, tra Paestum e la sua kora, di Paestum città mondo, ecc, ecc. Sono convinto che questi temi, come altri che via via proporrò, stiano a cuore a tutti i candidati e che tutti accettino questo metodo di confronto nell’interesse della loro città che, riannodandosi alle radici del passato ha necessità di esaltare il presente e costruire il futuro.