Per le strade senegalesi mi è capitato frequentemente di incontrare alcune Missionarie della Carità, con il caratteristico sari bianco scelto da Madre Teresa per adeguarsi alla tradizione indiana, quando a Calcutta, nel 1948, fondò la congregazione. L’abito è bordato da quattro strisce blu che rappresentano i voti delle religiose: povertà, castità, obbedienza e un quarto perseguito con estrema abnegazione: “vivere da povere con i poveri”, a diretto contatto con loro, perché Madre Teresa rilevava che invece – persino nella Chiesa – “molti parlano dei poveri, ma pochi parlano con i poveri”.
Su youtube è possibile trovare un documentario trasmesso dalla Rai qualche anno fa in televisione che racconta, attraverso la sua stessa voce e le parole delle persone a lei più care, il percorso personale e di fede di Anjezë Gonxhe Bojaxhiu che lasciò l’Albania, terra d’origine, per seguire la vocazione e trasferirsi a Calcutta, dapprima come infermiera nell’ordine delle Suore di Loreto e poi come fondatrice delle Missionarie della Carità. Questa donna eccezionale, che si è esposta a ogni rischio pur di prendersi cura del prossimo, è un esempio straordinario di carità umana, prima che cristiana. Lei stessa, infatti, contestava coloro che si dichiarano praticanti, senza poi osservare l’esempio di Gesù: “tanta gente parla molto di amore, parla molto di Dio, ma poi non ama per niente.” Al contrario Madre Teresa – proprio come Papa Francesco (che nel 2016 l’ha proclamata Santa) – scendeva per le strade dei quartieri più disagiati a cercare, avvicinare e accogliere le persone dimenticate dai propri familiari e dalla società, perché “nessuno deve essere lasciato solo”.
Il documentario riporta anche l’episodio dell’agosto 1982 quando Madre Teresa, determinata come sempre, ignorando i sacerdoti e i funzionari che la invitavano a desistere, decise di attraversare comunque il confine di una Beirut assediata e sotto i bombardamenti, per salvare la vita di 60 bambini disabili, orfani e abbandonati dal personale in fuga. All’Ambasciatore americano che cercava di dissuaderla chiedendole di attendere, Madre Teresa rispose di aver pregato la Madonna perché quei bambini non potevano aspettare. Ebbene, per un miracolo o per una coincidenza fortuita, il giorno successivo il Primo Ministro Begin annunciò il “cessate il fuoco” e Madre Teresa riuscì ad accorrere in soccorso di quei bambini che da giorni sopravvivevano in condizioni disumane senza acqua, cibo e nessuno che si prendesse cura di loro. Abbracciandoli disse che anche loro, come molte altre persone trascurate, avevano “sete non solo di acqua, ma anche di amore e l’amore deve essere trasformato in fatti”.
Le seguaci di Madre Teresa si sono poi insediate in ogni parte del mondo, dedicandosi strenuamente anche alla povertà spirituale delle persone che vivono nei sobborghi dei Paesi più ricchi, rivolgendo la loro attenzione, ad esempio, agli anziani soli nelle periferie più degradate di New York. Le missionarie continuano oggi a donare un sorriso e una parola di conforto agli emarginati sul presupposto che, come Madre Teresa ha insegnato, “contano le cose piccole fatte con immenso amore. Non è quello che facciamo ma quanto amore ci mettiamo nel farlo”.
Così, anche in Senegal, le Missionarie proseguono l’impegno intrapreso da Madre Teresa, giacché, proprio come lei ricordava: “potete trovare Calcutta in ogni angolo del mondo, se avete occhi per vedere dappertutto, ovunque andiate, troverete persone che nessuno vuole, che nessuno ama, di cui nessuno si prende cura, che la società ha rifiutato”. Credo che l’insegnamento più grande di Madre Teresa sia che, spostare l’attenzione da noi stessi agli altri, può aiutarci a vivere meglio. La sua richiesta a Dio che amo maggiormente è, infatti: “Quando ho fame, mandami qualcuno da sfamare. E quando ho sete, mandami qualcuno che ha bisogno di bere. Quando ho freddo, mandami qualcuno da scaldare. E quando sono triste, mandami qualcuno a cui dare conforto”.