Senza ombra di dubbio può essere considerato “l’uomo delle sirene”, per quell’antico rapporto che sin da bambino lo lega a questa figura mitologica, così cara a Odisseo, ma anche così vicina a questo nostro Mar Tirreno, dove il Mito si è mescolato, quasi fuso in irreversibile simbiosi, con la storia e la leggenda. In questo ampio golfo lunato Ulisse incontra le Sirene, qui ode il loro canto ammaliatore dopo essersi fatto legare all’albero maestro della sua nave, peregrino per decenni in cerca della sua Itaca. Un canto che ha attirato anche Luigi Manzo in quella rete di invenzioni infinite che offre la manipolazione dell’argilla verde, così docile e arrendevole sotto le dita di un vasaio o di uno scultore.
Ricorda il maestro: «Da piccolo fui colpito dalla sirena disegnata in quel lacerto di ceramica che è nell’angolo del palazzo Pinto, dove campeggia l’antico vascello, una volta disegno ricorrente nella ceramica vietrese. Quella sirenetta era, in effetti, il marchio della fabbrica Pinto, ed io ne fui affascinato». Siamo negli anni quaranta del secolo scorso e quella sirenetta era il marchio della ICAM, l’industria Ceramica Artistica Meridionale che nel 1939, alla morte del titolare Vincenzo Pinto, era stata ereditata da Raffaele Pinto e fratelli. Poi aggiunge: «Vietri è un paese di mare, perciò la sirena mi piace». E a fare compagnia alla immaginifica creatura marina, nell’inventario scultoreo di Manzo ci sono fauni, centauri, minotauri, Nike alate e tutti quei soggetti della mitologia, così cara agli etruschi che fondarono Markinna, e ai romani che la abitarono e la resero florida. Un mondo che fu frequentato con particolare attenzione pittorica anche da Giovannino, altro maestro nella storia ceramica di Vietri.
Dice Manzo: «Mi porto dentro la mia infanzia e la tiro fuori quando ho tra le mani un pezzo di argilla da modellare…» e si scopre, così, che il paese di antiche tradizioni ceramiche influenza l’andare di un artista nella sua quotidianità di bottega.
Luigi Manzo è vietrese doc, che all’età di sette anni comincia a manipolare l’argilla. Ricorda: «Mio padre mi dava ogni settimana dieci lire di paghetta ed io mi compravo l’argilla. Per la verità andavo alla fabbrica Pinto, dove erano le vasche di decantazione, e attraverso una rete di recinzione chiedevo ai cretari di darmi dieci lire di argilla, che ottenevo, ma che non veniva mai pagata, perché me la regalavano. Così con la creta tra le mani e il disegno della sirena nell’anima più che nella testa, cominciai a giocare in questo mondo dove la materia si lascia plasmare con docilità».
I suoi studi artistici, Manzo li ha completati a Napoli, all’Accademia di Belle Arti, dove ha avuto come maestri Emilio Greco, Mastroianni, Mazzacurati e Perez. Dopo il diploma ha insegnato “figura disegnata” presso il Liceo Artistico “Andrea Sabatini” di Salerno.
Ma non ha mai abbandonato la sua antica inclinazione di modellazione dell’argilla, frequentando alcune botteghe vietresi; interessante è il periodo alla fabbrica di Matteo Rispoli a Molina di Vietri, vero laboratorio di idee ed emozioni, dove si formò l’indimenticato Enzo Rispoli e fu frequentata da non pochi personaggi di spicco nel mondo della cultura e dell’arte salernitana, tra i quali il poeta Edoardo Sanguineti, il critico Filiberto Menna, l’artista Ugo Marano con il suo sogno di un “Museo vivo”.
A girare intorno lo sguardo nel poco spazio della bottega a Marina di Vietri, si scoprono per la maggior parte forme modellate, poca la produzione su superfici piane, come piatti o “riggiole” o piastre, supporti dove il decoro è essenziali, se mai un solo colore a tracciare un disegno, un profilo, una essenzialità di immagine. Qui è la preminenza della forma, molte delle quali lasciate in cotto: «A me interessa la forma non il colore e questo, quando lo uso, è solo sperimentazione». Ritorna alla mente quanto diceva Irene Kowaliska durante il suo magico periodo vietrese: “La ceramica è sottrazione e non addizione” volendo intendere che in questo settore c’è bisogno di essenzialità cromatiche, non di miscelazioni, sovrapposizioni e confusioni. Aspetti artistici sconosciuti a molti, ma ben compresi dal maestro Virginio Quarta il quale, nel laboratorio di Salvatore Autuori – maestro ceramista dalle linee solitarie, decise e armoniose – ha lasciato il colore delle tele, per rivolgere la sua attenzione all’indispensabilità del cotto, che usa magistralmente come colore nell’andare della sua opera.
E ci sono, nelle opere di Manzo, i panneggi sinuosi anche se più intuiti che espressi, le chiome al vento quasi fuga nel tempo della storia, qualche collo allungato, così caro a Modigliani, e le grandi ali, come quelle di una Nike quasi a volere stendere la sua protezione su chi ogni giorno vive la sua storia nella bottega delle mani. Ed è subito cifra distintiva di un artista, che continua il duro lavoro della modellazione a creare l’estate, giustamente rappresentata con un fascio di spighe tra i capelli, ma con lo sguardo meravigliato di essere nella meraviglia del creato di questa costa merlettata dove monti e mare si guardano in simbiosi di natura.
Su supporti che quasi sfuggono allo sguardo, sono allineate le sue opere, sculture piccole, graziose, essenziali nella loro grandezza. Dice il maestro: «Le mie opere sono un sonetto non un romanzo, per cui devi entrare dentro la scultura per capire la sua essenza». Eppure nella piazza che fa da raccordo tra Vietri e la Costa Diva è in bella mostra una sirena grande, imponente, adagiata su immaginarie onde e piacevolmente ricoperta del colore del cielo e del mare, quasi benvenuto per chi arriva in questo paese di antiche tradizioni ceramiche e, nel contempo, augurio di buon viaggio per chi prosegue verso quella costa dove, a richiamo di Domenico Rea, nulla è stato dimenticato da Dio nel giorno della creazione.
Nella bottega di Marina scende il silenzio, quello del godimento dell’arte che ti circonda; si ode, all’esterno, lo scrosciare della pioggia in una sera incalzante di gennaio dove l’inverno fa sentire prepotente la sua presenza. Il maestro scosta qualche battente di porta, svelando il nascondiglio non tanto segreto di opere che non venderebbe mai. «Sono un po’ la mia storia negli anni – dice il maestro – e con queste opere vorrei fare una mostra». Ecco un’altra sua cifra: l’umiltà del grande artista, che non ha bisogno di vendersi, ma ha necessità di essere capito pur se intorno vi è il silenzio…della riflessione.