Di Gaetano Puca Articolo di Unico 2012 – n°44 I capaccesi del passato come Zappulli e Bamonte hanno dato il loro impegno per la valorizzazione di Paestum. I capaccesi di oggi secondo me, dovrebbero sentire il dovere di dare un contributo alla valorizzazione di Capaccio Capoluogo in collina. Questo si può salvare dalla desertificazione perchè dista pochissimi chilometri dalla pianura e dalla stazione ferroviaria e non solo, anche perchè è stato un centro abitato, durante il periodo della malaria in pianura che ha vissuto avvenimenti di grosso rilievo. Qui è stata la Contessa Isabella Villamarino, moglie di Ferrante Sanseverino. Sulla tomba del genitore, sepolto a Monfort in Spagna, vi è scritto Bernardo Villamarino Conte di Capaccio. Isabella fu l’amante italiana di Carlo V. Capaccio, oltre a sede di contea, è stata sede vescovile di una diocesi molto estesa che comprendeva il territorio attuale delle diocesi di Vallo della Lucania, di Teggiano e di Policastro. Con la distruzione della città di Paestum, i vescovi si trasferirono, quindi, a Capaccio sul Monte Calpazio e a partire dal vescovo Alfano, che resse la diocesi nel primo quarto del XII secolo, si iniziarono ad intitolare vescovi di Capaccio, pur conservando, per buona parte dello stesso secolo, anche l’antico titolo di vescovi di Paestum. Benvenuto era il vescovo all’epoca degli eventi di Federico II che determinò l’abbandono della città sul Calpazio. A questo punto si sviluppò il Villaggio San Pietro che prese il nome di Capaccio Nuovo, oggi detto Capoluogo. Qui sono stati vescovi tra i quali, secondo me, vanno ricordati Filippo da Santo Magno (1312– 1338), Tommaso da Santo Magno (1341-1382), Bernardino o Berardo Caracciolo (1422-1425), Luigi d’Aragona (1503-1514), Enrico Loffredo (1531-1547) che partecipò al concilio di Trento, Girolamo Verallo che fu Cardinale, (1549- 1553), Lellio Morelli (1586- 1609) che morì a Capaccio. E’ sepolto nella chiesa del Rosario. Inoltre, vanno ricordati ancora, Francesco Maria Brancaccio (1627- 1635) che fu Cardinale, Tommaso Carafa (1639- 1664), Francesco Paolo Nicolai (1704-1716) che restaurò il santuario del Granato e volle San Vito Patrono di Capaccio, Agostino Odoardi, (benedettino (1724- 1741) deceduto a Capaccio e sepolto nella chiesa del Rosario, Filippo Speranza (1804-1834) che rifiutò di spretare il canonico De Luca, capo dei moti Cilentani del 1828, Michele Barone (1835-1842) che edificò le stanze al Santuario del Granato ove risiedeva 6 mesi all’anno, Gregorio Fistilli (1845-1848) che visse i moti del 1848, guidati da Costabile Carducci capaccese. La situazione del territorio comunale, formato da 111 chilometri quadrati con una pianura ormai tolta definitivamente alla malaria, con nuovi, anzi nuovissimi, centri abitati a carattere di paesi veri e propri, è in vero cambiata. Attualmente tra gli abitanti, oltre 22. 000 (circa 2. 000 del Capoluogo che d’estate si ripopola), non vi è una relazione nel senso che non vi è una sola comunità nel territorio, ma ogni borgata si sente comunità a sé, preoccupandosi di far eleggere un proprio abitante della borgata nel consiglio comunale che poi sembra assumere un aspetto di rappresentati delle borgate. Ormai, tra vecchi capaccesi e nuovi pestani, ci unisce solo il culto verso la Madonna del Granato – Ora ci è permesso chiederci: Quale potrebbe essere oggi la funzione o il ruolo di Capaccio Capoluogo? Dovrebbe, e ne ha le possibilità, acquisire un ruolo dignitoso che, oltre a contenere le ricchezze simboliche quali ospitare conti e contesse, vescovi che poi divennero cardinali, di questi (Brancaccio) non fu eletto papa per un divieto spagnolo, gli dia la possibilità di rappresentare le tradizioni, gli usi e i costumi del periodo in cui la città di Paestum fu abbandonata e i pestani presero il nome di capaccesi. Si dice che il capaccese degli antichi rioni di Monticelli, Casa Capolla, del Lauro e di S. Antonio non utilizza in pieno l’immenso patrimonio artistico e culturale di cui è dotato. Si potrebbe cominciare col mettere a posto tutte le vecchie botteghe artigiane di una volta come i fabbri, i falegnami, i calzolai (Milo) e il salone da barbiere (Giuseppe Marino). (Museo itinerante). Insieme con il vecchio lavatoio e quel che resta dell’antico acquedotto si potrebbe costituire un museo all’aperto. Durante i mesi estivi presentare alcune attività quali come fare le bottiglie di pomodori, il pane ed altro come riti che si realizzano con la manualità. (Turismo con il quale si incontrano culture diverse). Nell’elenco delle occasioni perdute e da recuperare entrano Palazzi a Monticello, ove vi è il ristorante il Castello, il palazzo Marandino, la casa del dottor Giuseppe Bellelli e altre residenze Bellelli che hanno accompagnato la storia del luogo e che ora sono in uno stato di deplorevole abbandono. (Compreso il palazzo che fu di Gaetano Bellelli che ospitò Gioacchino Murat). Potevano diventare le sedi di una scuola di restauro, di una biblioteca, o del museo del risorgimento cilentano. (occasioni perdute?). Il pensiero va così alla casa natale di Costabile Carducci, guida della rivolta cilentana del 1848, a via S. Agostino. Non si può ancora conservare il cemento negli antichi vicoli del Lauro. Cemento che ha coperto le antiche pietre. Diviene impellente il fatto che Capaccio Capoluogo acquisisca il ruolo che si merita dando uno stop al processo di desertificazione che è in atto. Basta guardare alcune zone come via S. Agostino Via Monteoliveto e anche la zona ove è collocata la fontana dei delfini tanto cara ai capaccesi, per rendersi conto che è in atto lo spopolamento del paese che mi piace definire processo di desertificazione in quanto ritengo che sia possibile arrestarlo anzi invertirlo
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