Il saggio di Lodovico Calza, La struttura sanitaria a Vallo della Lucania, fa conoscere una storia per meditare su rilevanti vicende attuali. L’autore scava nei ricordi delle persone e nelle carte d’archivio per ricostruire una pagina, poco conosciuta o cancellata dalla memoria collettiva, relativa ad una vicenda che aiuta a riflettere su un tema attuale e particolarmente angosciante relativo ad una boccheggiante struttura ospedaliera per la quale singole persone e l’intera comunità hanno collaborato affinché il sogno di alcuni professionisti e di un prete divenisse realtà.
Capacità personali, leadership e tenacia di alcuni medici hanno sollecitato le Istituzioni perché una zona priva di ogni struttura sanitaria potesse avere un servizio capace di garantire almeno l’essenziale in termini di assistenza. Di questo patrimonio etico e morale la Chiesa dovrebbe essere custode, disposta ad assumersi la responsabilità della denuncia quando si registrano insopportabili carenze come quelle che si sperimentano quotidianamente nel nosocomio di Vallo. È il categorico invito della Lettera agli Ebrei ad essere, se necessario, spada affilata capace di penetrare non solo nel cuore di ogni uomo, ma anche della comunità. La storia dell’ospedale di Vallo e del suo progressivo smantellamento sembra a volte trovare tacita acquiescenza, mentre la gravità del fenomeno obbligherebbe a chiare azioni di denuncia per rivendicare un’esperienza d’impegno profuso, di testimonianza radicata, di coinvolgimento popolare, i cui frutti sono stati descritti dal dottor Calza. La Chiesa vallese non può consegnare al baratro dell’oblio i meriti dei quattro sacerdoti protagonisti di questa vicenda: don Luca Petraglia, don Alfredo Pinto, don Pietro Guglielmotti, don Giovanni d’Angiolillo hanno dato concreta risposta a impellenti esigenze del territorio. Nella loro azione ed in quella di chi ha collaborato emerge il clima di partecipata umanità prima che la nazionalizzazione dei servizi sanitari facesse prevalere una progressiva asettica organizzazione rispetto a una concezione attenta all’uomo nella sua integralità. I sacrifici di chi vi ha operato nei primi anni non sono stati vani. Nell’agosto del 1980, Il Mattino dedicava un articolo all’ospedale-miracolo, mentre nel 1989 l’USL 59 di Vallo si collocava al primo posto per puntualità nei pagamenti ai fornitori.
Ancor oggi il connubio pubblico-privato può costituire la soluzione equilibrata ai tanti problemi legati alla Sanità. Perciò le attuali strutture operanti nel territorio, invece di considerarsi concorrenti, dovrebbero individuare una sinergia capace di avvantaggiare tutti. La storia dell’ospedale ricorda che, agli inizi, a operare è stato soltanto e soprattutto il privato nella sua caratterizzazione religiosa, per poi essere assorbito e pericolosamente fagocitato da un pubblico oggi attento più alle convenienze della spesa statale sanitaria che all’efficienza di una struttura che le era stata consegnata in buona salute.
L’esperienza del Corona virus e le modalità di gestione della pandemia confermano le tante disfunzioni registrate nella sanità pubblica salernitana, un invito a riflettere sulla esigenza di una medicina territoriale capace di obbedire alle vere esigenze della popolazione e non ad indicibili interessi della “politica politicante”, come è solito affermare un noto amministratore, abile negli annunzi ai quali corrispondono risultati diafani, effimeri e discutibili. Si auspica, perciò, che a leggere questo saggio siano soprattutto i “capponi di Enzo” che attualmente reggono le sorti della sanità pubblica regionale per trarne spunti e, soprattutto, stili di vita, impegno professionale e opzioni etico-politiche per mettere un freno alla crisi di una struttura voluta dalla popolazione e che tanto bene ha fatto nel suo primo mezzo secolo di vita. Lotte intestine, interessi di bottega, aspirazioni personalistiche, subdole negligenze, sono un crimine contro un territorio e contro una comunità che ha voluto ed ha partecipato attivamente alla realizzazione della struttura. In tempi di democrazia, a prevalere non dovrebbe mai essere la prassi parolaia e immaginifica del virtuale, ma la concretezza di un impegno quotidiano nel quale, olisticamente, si ha cura di tutto l’uomo, perché soltanto a queste condizioni è possibile una mens sana in corpore sano.
LR