Il volume scientifico “Costruzioni verbali e discorso riportato nei generi narrativi del Cilento” è una rielaborazione di alcuni capitoli della tesi di laurea di Aniello Amato, discussa presso l’Università di Bologna nel luglio 2020 e intitolata “Grammaticalizzazione di forme verbali e multiverbali nei generi della tradizione orale del Cilento: due casi di studio”. Il giovane, originario di Cannalonga, ha conseguito la laurea magistrale in “Scienze linguistiche” (Linguistica generale) presso l’ateneo bolognese, ottenendo la dignità di stampa alla tesi e una borsa di studio per studenti meritevoli, ovvero aggiudicandosi un posto fra i migliori studenti del Dipartimento di Studi umanistici. Dopo la laurea, Nello ha partecipato ad un progetto linguistico tipologico del Dipartimento di Lingue straniere dell’Università di Bologna, denominato “universaLIST” e coordinato dalla prof.ssa Francesca Masini e dal dott. Simone Mattiola, elaborando un file contenente i dati raccolti nel Cilento e confluiti nell’appendice della tesi suddetta. Essi sono stati inseriti da un team di ricerca internazionale fra le lingue poco conosciute e studiate.
Qual è stato il motivo principale che ha spinto l’elaborato del suo studio in questa interessante direzione?
Sono stato sollecitato dallo studio linguistico dei generi narrativi della tradizione orale, principalmente fiabe, leggende e canti, i quali stanno cadendo in disuso fortemente a causa della mancanza di trasmissione intergenerazionale. Quest’ultimo aspetto, inedito rispetto al passato, è dovuto ai vari cambiamenti sociali che nel corso del Novecento si sono attuati, come l’avvento di Internet, l’urbanesimo con il conseguente spopolamento delle campagne, l’affermazione di nuove abitudini lontane dal contesto agreste e le nuove forme di narrazione, centrate sullo scritto libresco nell’ambiente scolastico. Questi ed altri fattori hanno reso la narrazione orale dialettale apparentemente inutile e io ho avvertito il desiderio di tramandarla, cosciente del suo valore antropologico, linguistico e umano.
Si evince che, molte trascrizioni siano state trascritte dal dialetto, modificandone le frasi per renderle leggibili. Crede abbia influito, soprattutto nell’epoca attuale, nel modificare l’uso comune dei dialetti oggetto del suo studio?
In linguistica bisogna essere fedelissimi al parlato nella trascrizione, anche a scapito della comprensibilità sintattica, nel senso che fenomeni come ripetizioni, esitazioni, pause, cambi di argomento sono importantissimi e non vanno elusi. Ciò costituisce la differenza principale con le tecniche di trascrizione etnografica. Pertanto, per la pubblicazione dei testi originali sono stato fedelissimo al parlato registrato, adottando soltanto nel libro l’alfabeto latino perché il lettore potesse decifrare il messaggio. L’alfabeto fonetico è infatti una nicchia per pochi esperti. Rispondendo alla domanda, sostengo che i dialetti di oggi sono diversi da quelli del passato, ma, a differenza di quel che si crede, non stanno morendo. Come ogni lingua, essi si trasformano, esattamente come l’italiano.
La sua è una ricerca meticolosa, in ogni possibile dettaglio, in ogni aspetto tecnico relativo alle forme verbali, attingendo da elementi di carattere antropologico. In tal senso, quanto è importante per le nuove generazioni la conoscenza delle radici?
Le fiabe e le leggende possono aiutarci a ricostruire la società rurale dei nostri avi cilentani, ossia a capire i loro usi e costumi, ma anche a rilevare, dal punto di vista linguistico, termini caduti in disuso, soprattutto quelli che si riferiscono agli oggetti della vita contadina e i toponimi. Ma le fiabe e le leggende servono anche per capire valori umani intramontabili come la solidarietà e il coraggio dinanzi alle avversità. Quindi, per i giovani di oggi la conoscenza dei testi orali arcaici è importante sotto vari aspetti, relativi o meno alla ricerca scientifica.
Quando si parla di termini arcaici e al suo significato ignoto, a cosa ci si riferisce?
Mi riferisco a termini di cui non conosco il corrispettivo significato in italiano.
La tradizione si è tramandata per secoli in modo orale, sembra che la modernità, con le sue fugaci interferenze, minacci gli elementi conoscitivi del passato. Crede in un intervento diverso ed innovativo che contribuisca a preservare l’entità storica?
Per preservare la tradizione in tutte le sue manifestazioni è necessaria sia la consapevolezza degli attori sociali sia un’azione mirata delle istituzioni. Il folklore, tuttavia, non è un’entità stabile, ossia muta, esattamente come qualunque altra manifestazione umana. Pertanto, pensare di cantare o suonare o parlare come facevano i nostri nonni è impensabile. Noi agenti sociali possiamo evitare che certi strumenti come la zampogna o la ciaramella cadano in disuso totalmente, mentre le istituzioni dovrebbero incentivare agricoltura, allevamento e ogni altro ambito nel quale l’uso del dialetto può mantenersi ancora vivido.
Di recente ha pubblicato il testo “Costruzioni verbali e discorso riportato nei generi narrativi del Cilento”. Un’opera culturale ricca e unica, che affermano nell’autore, non solo competenze e conoscenze, ma anche un forte attaccamento alla sua terra. Cosa suggerisce al Cilento, affinché possa trovar luce in questi “contenitori” immateriali?
Suggerisco ai cilentani di avere maggiore cura e rispetto per la propria lingua. I cilentani tendono a svalutarsi e svalutare il proprio dialetto. Il mio testo è stato scelto da un comitato di 11 docenti di Linguistica italiana per la pubblicazione come incipit di una collana editoriale; essi hanno ritenuto che il Cilento linguistico sia di estremo interesse scientifico. Purtroppo nel Cilento non c’è la stessa percezione. Qui la gente o vuole mettersi in mostra o critica l’operato altrui senza mettersi in gioco. Consiglio a tutti maggiore coraggio.
Intervista a cura di Angelo D’Ambrosio