Con una cerimonia semplice, ma intensa di partecipazione, allietata da una performance di danza degli allievi di Antonella Iannone, il Museo Città Creativa di Ogliara ha riaperto le sue porte, simbolo di una ripresa, o meglio, di una rinascita di attività culturali in una città che di arte (spesso vera, a volte falsa) ha sempre alimentato la sua quotidianità. E lo fa mettendo in mostra una ceramica minimale (ma solo nelle dimensioni) di Ugo Marano in quello spazio di “arte creativa” di Ogliara che proprio l’artista di Cetara volle quale “luogo di creatività, laboratorio dell’argilla e della materia”. Non va dimenticato che Ogliara è terra di fornaci: a pochi metri dalla struttura museale è quella “valle delle rane”, come la battezzò Marano, dove i fratelli De Martino, ultima generazione di cretari, continuano ad estrarre la pregiata argilla, già nota agli Etruschi della non lontana Marcina per i loro buccheri, ora destinata a diventare ceramiche del sole.
Riprende la sua vita di “utopie” il Museo di Ogliara, nell’ambito del più vasto progetto “Salerno Musei in Rete” e lo fa con un consistente numero di quelle cento sedie minimali, scranni di potere o sedute per riposi, conversazioni o meditazioni che “Ugo Marano progettò – ha ricordato la moglie Stefania Marano – per essere poste in circolo a formare una Piazza, uno spazio aperto al dialogo, all’incontro”. Per Ugo erano “un’escrescenza di terra e natura, a forma di corpo, piccola architettura, contenuta nell’architettura madre, riproduzione infedele di una figura di persona”.
E l’artista, così visivamente nell’aspetto somigliante al non più giovane Buonarroti, continua a parlarci di un desiderio che ancora oggi, a distanza di dieci anni dalla sua scomparsa, “mantiene intatta la sua forza utopica”, di uno spazio immaginato, sognato, realizzato in quegli ambienti sulle colline salernitane dove aveva attuato “il luogo dell’incontro” da cui far partire confronti di esperienze, contaminazioni d’arte, provocazioni di idee. Ricordava Marano “Il Museo è prima di ogni cosa lo spazio dell’incontro, la possibilità di una creazione che si rinnova nel segno e nel sogno di un’arte per tutti”… già il sogno, forse l’utopia.
“Non potevo riprendere le attività del Museo Città Creativa se non partendo dal progetto sognato da Ugo Marano” ha detto, in apertura, l’assessore alla cultura Antonia Willburger, figlia di quel Peter incisore che, come Ugo, amava la “sua” materia, la lastra di zinco o di rame, gli acquerelli e le carte colorate e quell’odore di polveri di colori lasciati a “invecchiare” in ciotoline ceramiche. Entrambi vivevano sulla stessa Costa, quella di Ulisse ed Enea, quella dove una città “a Tirreni condita”, aveva nei secoli costruito una civiltà fatta di argilla. “Io amo la ceramica – soleva dire l’artista di Cetara – perché amo la sua materia e l’argilla è la materia dell’origine”. E l’animo richiama dalla memoria quei versetti della Bibbia in cui Dio mise mano alla creazione dell’uomo.
In una breve presentazione ad un grazioso pieghevole stampato per l’occasione, Stefania Zuliani ha scritto: “Così, accogliere di nuovo l’opera e il progetto di Marano negli spazi del Museo Città Creativa, la cui nascita a Ogliara tanto deve all’incontro dell’artista con il progetto di identità e sviluppo promosso dall’allora assessore Pasquale Persico, significa tornare, con occhi nuovi e ancora più attenti, a guardare allo spazio del museo non come ad una vetrina di lusso o un deposito di illustri memorie ma come ad un processo, un necessario luogo di cura – di oggetti, di storie, soprattutto di persone – in grado di agire dentro e fuori le sue privilegiate stanze”.
Quanta vicinanza con “le idee nascono amando gli altri”, scritto con il quale Ugo Marano, nel 1984, apriva la sua “riflessione in parole e organici segni, su l’uomo nuovo, un uomo che danza leggero tra gli elementi e che sa che la proprietà privata delle idee non esiste (o “meglio non dovrebbe esistere”)” ricorda ancora la Zuliani. Utopia, come tante altre considerazioni e lavori di Ugo, che non è sogno, fantasticheria, ma “spinta che muove e muta il presente”. E rimbalzano dalla libreria la “Certosa esplosa”, la città di trenta”, “il signor pigreco”, “Capri i sola”: amabili utopie composte quasi spartiti di sinfonie di parole dove tutto è ricondotto ad un ancestrale momento creativo, quello del torniante che mette il suo giusto panetto di argilla sul tornio e, con sapienza e pazienza tira fuori dalla materia la forma che le mani riescono a cogliere nel suggerimento della materia.
Poesia, utopia, sintesi di un sogno che Ugo continua a trasmettere con quelle strutture minimali in terracotta dove spesso la persona si confonde con l’oggetto, ma è sedia, scranno, trono, luogo di riposo, di riflessione, di contemplazione di quanto è intorno.
“Ugo è un artista integrale – ha detto il sindaco di Salerno, Vincenzo Napoli – Il suo segno pittorico è limpido, sintetico, semantico, evocativo. Il suo modo di muoversi nella materia era un fare arte integrale: con sapienza Ugo passava dal segno alla parola e viceversa in una osmosi di creatività”. Parole che racchiudono l’artista e l’uomo Ugo Marano, che vendeva spazi di utopia.
Sette novembre 1984, Ugo scriveva: “Storie di spazi rialzati, di pensieri d’interni come riproduzione al quadrato del corpo esterno, del corpo che si ritrova nudo e si riprogetta ricorrendo al vegetale prima, all’animale poi per ritrovarsi… primitivo gesto d’avanguardia. Storia di un uomo che non progetta ma si costruisce direttamente l’interno sul suo esterno”.
Vito Pinto