Quando un manipolo di uomini si muovono, spinti dai loro ideali e dalla fede che impongono al loro credo di non retrocedere, vuol dire che nell’animo patrio vi è un sentimento al quale non si può rinunciare: la libertà!
Dove può manifestarsi questo impulso se non nei momenti in cui l’indipendenza del proprio pensiero e della patria, alla quale credi, vengono sostituiti con la forza del potere? E in qual maniera sarà possibile far fronte a tale avversario se non con la stessa identica condotta?
Saranno state queste alcune domande che un piccolo gruppo di uomini si scambiavano l’un l’altro, nel mentre si apprestavano ad imbarcarsi su un battello, oppure erano interrogativi che ognuno di loro tratteneva nei propri pensieri onde evitare, tra i compagni, un qualche malinteso e far pensare che non si aveva coraggio nell’affrontare il compito che li attendeva?
Forse nulla di tutto questo, fatto salvo solo per alcuni uomini che appena giunti a destinazione preferirono non partecipare all’impresa. È unracconto questo che inizia nel Cilento, sì, quella terra che mi è solito definire come “giardino del paradiso”, tanto generosa appare nell’offrirsi gaia per la sua natura e memorabile per la sua storia. È qui, nel Cilento, che gli occhi e la mente del visitatore possono confondersi con i profumi di una terra che si mostra cordiale e calorosa nella sua accoglienza, e non da meno per le sue straordinarie, intense vicende del passato che hanno orgogliosamente prodotto la storiografia di questi luoghi.
Settembre, i primi giorni del nuovo autunno si sono già mostrati mentre nella modesta casa dei coniugi Tardio,un’umile coppia di agresti piagginesi, c’è fermento e gioia. Stanno aspettando la nascita del loro primogenito, il quale vide la luce della vita il 1° ottobre 1834, con il nome di Giuseppe. Come ogni genitore i desideri per l’avvenire di quel figlio furono tanti, tra i quali quello di farlo studiare, cosa che appena raggiunta la giusta età fece frequentando il Real Liceo di Salerno. Dedito allo studio, Giuseppe Tardio, diventò avvocato e nel tragitto accademico assimilò pensieri e sentimenti liberali.
Sotto il Regno dei Borboni, Tardio, fu arrestato in quanto ebbe a manifestare a favore dei Savoia, scarcerato a metà dell’anno 1860 la sua condanna divenne atto di merito per i piemontesi, cosa che una volta che il governo cambiò gli consentirono di fare domanda come ispettore di polizia.
Qualcosa però accadde a sfavore del giovane avvocato, una congiura ordita probabilmente da borghesi che non vedevano di buon occhio gli appartenenti alla plebe più povera, gli costò un nuovo arresto, stavolta da parte dei Piemontesi. Restò in carcere per circa due settimane, tanto quanto bastò a fargli mutare le sue idee politiche, anche grazie alpalese e conveniente schierarsi dei borghesi con il nuovo governo. Tardio allora non poté che trasformarsi nel suo credo ideologico schierandosi a sua volta con coloro i quali desideravano un ritorno dei Borboni.
Raggiunse Roma e qui sotto lecita approvazione di Francesco II, l’ultimo Re delle Due Sicilie, raggruppò dei volontari per una spedizione nel Cilento, nella sua terra. Con questo Giuseppe Tardio voleva non solo controbattere e forse vendicarsi per l’arresto avuto a seguito della congiura fatta dai benestanti agrari, ma voleva anche sostenere la spartizione delle terre ai braccianti, togliendola così dalle mani di sfruttatori senza scrupoli.
Avviatosi con il suo gruppo verso Civitavecchia e raggiunto il porto, all’alba del 18 settembre 1861, si imbarcò su una sorta di battello per fare rotta su Agropoli. Una spedizione a dir poco strana considerato i pochi uomini, poco più di trenta, e le scarse armi a disposizione. Qui una volta sbarcati alle prime luci dell’alba del 22 settembre, alcuni uomini dopo quattro giorni di navigazioneprobabilmente pensarono che quella spedizione non potesse avere successo e quindi scelsero di ritirarsi. Questo però non fece ritrarre l’avvocato cilentano, che sarà poi appellato come il Brigante laureato, dai suoi intendi di assaltare Piaggine, il suo paese d’origine dove si narra volesse uccidere il capitano della Guardia Nazionale e il sindaco, per poi saccheggiare le case dei liberali.
Il piano di Giuseppe Tardio fallì e si credette così che quell’azione non era che soltanto fumo sottovalutando Tardio e il suo gruppo che si resero protagonisti di molte imprese ai danni dei liberali e dei possidenti terrieri pro-Savoia. Tempo dopo le sue azioni prendevano forma di racconti nelle case e per le strade; seppe di Tardio e delle sue imprese anche Pietro Rubano, di Piaggine Sottane, già brigante nelle file di Crocco, che si aggiunse al suo gruppo diventandone poi l’uomo di fiducia. I successi dell’avvocato, detto brigante, si susseguivano uno dietro l’altro, così come i paesi cilentani presi di mira dove spesso la popolazione accoglieva festosa il gruppo di ribelli ormai raggiunto a circa 200 unità. Nel 1863 a Campora si consumò anche la fucilazione di Padre Giuseppe Feola, vero nome di battesimo Vito Antonio, un religioso di imponente cultura e generoso nella sua oratoria. Ma queste scorribande del Tardio agli occhi dei Piemontesi non erano da meno da quelle fatte da altri gruppi di briganti del sud. Occorreva che l’esercito si muovesse alla volta di queste terre per annientare la ribellione, note furono le azioni del generale Giuseppe Govone nel sud, sin dal 1860, per sconfiggere definitivamente il brigantaggio, un generale che nel 1872 morì suicida poiché aveva una grave malattia, ma ci fu chi ipotizzò che il rimorso per le condotte di forza fatte ai danni del popolo del sud Italia lo tormentassero.
Ebbene l’esercito Piemontese nel 1862 raggiunse anche il Cilento stringendosi attorno alle forze ribelli e nell’estate del 1863 a Magliano l’ultima battaglia di Tardio e i suoi uomini si concluse con una sconfitta. Giuseppe, l’avvocato sbarcato ad Agropoli con un minuscolo gruppo di uomini per recarsi a Piaggine a da lì intraprendere la sua carriera di brigante del Regno borbonico contro i Savoia, fu catturato. Riuscì però a fuggire rendendosi esule a Roma in una condizione di libertà fino a quando, nel 1870, lo Stato Pontificio fu conquistato dai Piemontesi. Catturato di nuovo, pare a seguito di un tradimento, fu prima rinchiuso nelle carceri romani poi trasferito a Salerno, dove nel 1872 fu processato e condannato a morte. La sentenza però non fu eseguita e quattro anni dopo ottenne la commutazione della pena, ai lavori forzati, e condotto nelle carceri dell’isola di Favignana in Sicilia.
Quando gli uomini si muovono lo fanno perché sono spinti dai loro ideali, dal loro sentimento di patrio spirito e soprattutto dal forte desiderio di libertà. Quando gli uomini si muovono con loro si muovono anche la guerra e la morte. Chissà se l’uomo istruito Tardio pensò a questo, ma le sue ultime parole nel lungo processo di Salerno lasciano in vero un profondo dubbio, sul perché il piagginese Giuseppe volle dar battaglia nella sua terra, ma non come un comune, “volgare malfattore” sostenne. E forse aveva ragione nel volersi ribelle “per intendimenti e scopi meramente politici” altro che brigante. Giuseppe Tardio morì a Favignana il 13 giugno 1892.