Come avevo annunciato ieri nell’articolo pubblicato sul sito, a cominciare da oggi pubblico i temi proposti per l’argomento “l’Europa che è in noi”.
Il primo di questi articoli, che pubblico qui di seguito, tratta l’importantissimo tema dell’internazionalità di Paestum focalizzando l’interesse su l’anfora, dipinta dal grande ceramista Assteas, che onora la storia e la cultura di Paestum in Italia, in Europa e nel mondo.
È superfluo dire che questo articolo assume particolare importanza trattarlo durante la campagna elettorale non solo per la prossime elezioni europee di maggio, ma anche perché è in atto, nel comune di Capaccio Paestum, un’accesa competizione elettorale per eleggere la nuova amministrazione comunale. E Paestum dimostra di avere monumenti, arte, storia prestigiosissima su cui i futuri amministratori della città si possono e si debbono confrontare, nella consapevolezza che all’interno della loro città abitano all’incirca 22.000 cittadini tra i quali è possibile scegliere imprenditori, professionisti, artigiani, operatori economici in genere, in grado di fornire una compagine amministrativa del posto senza dover ricorrere a prestiti o a importazioni di candidati esterni al territorio cittadino. Buona fortuna a tutti e buona fortuna soprattutto alla storia e al futuro prestigioso di Capaccio Paestum.
Nel corso degli anni ho scritto molto su Paestum, che ho considerato e considero la mia Itaca. E mi sono posto una serie di domande sul suo passato, sul suo presente e sul suo futuro Me ne è rimasta una, che mi piace riproporre all’inizio del nuovo anno.
Come valorizzare ed esaltare a livello nazionale ed internazionale il ruolo di Paestum nella direzione della cultura, nella piena consapevolezza che il territorio è sì, gloria nostra, ma anche, e soprattutto, CITTA’/MONDO? Il Sele, a nord, la divideva dagli Etruschi e costituiva una naturale barriera contro possibili invasioni. A Sud, invece, c’era il Solofrone, il cui corso pacioso dalla portata limitata consentiva facili trasmigrazioni verso i promontori di Agropoli e Tresino. La cinta dei monti, alle spalle, era un ostacolo non facilmente sormontabile dalle bellicose popolazioni italiche, prima, e lucane, poi, che cercavano uno sbocco al mare. Comunque quei fiumi ed altri corsi d’acqua, Capodifiume innanzitutto, hanno consentito fecondità alla pianura sin dall’antichità. Forse anche per questo i Nostri Padri dedicarono templi e culti religiosi alle dee delle messi(Magna Mater, Iside, Era, Proserpina, Demetra, Cerere, Pomona, ecc). Pertanto anche un discorso sull’agricoltura, che è e resta un settore trainante dell’economia del territorio, non può prescindere dal recuperare e dall’esaltare queste origini sacre, nel segno della ritualità, del mito e della cultura.
D’altronde qui, nella pianura, tutto ci parla di grecità (mito, storia, testimonianze archeologiche, ecc.). Alla Foce del Sele approdò, pare, Giasone con il prezioso carico del vello d’oro, perseguitato dal rimorso/incubo di Medea e propiziò la protezione di Era Argiva, dedicandole un tempio. Successivamente più a sud nella pianura fu l’approdo degli Achei con il pietoso carico del pantheon di lari e dei: ancora Era, che fu, poi, Cerere e Cibele, ma anche Nettuno, dio del mare e Minerva, dea dell’intelligenza, e Venere, dea della bellezza e dell’amore, come testimoniano metope votive e pitture vascolari. E nei templi si riunivano ogni anno i Posidoniati, come ci racconta lo storico Ateneo, per rievocare e celebrare, nella malinconia del ricordo, le loro origini, ricordo che fu cantato dal grande poeta Costantino Kavafis. Abbiamo dimenticato o, comunque, non esaltato abbastanza l’influenza del dorico pestano in Europa e nel mondo, la caratura mondiale di una singolare figura di artigiano/artista, un Maestro, che ci ha lasciato testimonianze prestigiose di straordinaria pittura vascolare, di cui siamo legittimamente orgogliosi. Si tratta di Assteas, di cui mi piace ricordare qui la bellissima anfora che raffigura IL RATTO D’EUROPA, e che il mondo intero ci invidia. Quella pittura narra il mito dell’amore di Giove per una bella ragazza di nome Europa, figlia del re fenicio Agenore. Il dio la vide giocare sulla spiaggia con le sue compagne. Se ne invaghì e, avendo assunto le sembianze di un toro bianco, la rapì e la fece sua. La metafora del mito dimostra che il rapporto tra la Grecia e l’Europa-continente, a cui ha dato il nome, fu un atto d’amore che risale alla notte dei tempi,. per non parlare, poi di quel gioiello della Tomba del Tuffatore”, che già nel sesto secolo a.C. poneva interrogativi sull’aldilà e sul rapporto misterioso e problematico tra Eros e Tanatos. Così come non abbiamo esaltato abbastanza la figura di Federico II di Svevia, che nel Castello sul Calpazio, di cui resta soltanto lo scheletro, represse in modo spietato la “Congiura dei Baroni”. Mito, storia ed arte ci hanno insegnato questo e sarebbe un azzardo pericoloso rompere un rapporto millenario.
D’altronde questo è soltanto uno dei tanti esempi dell’EUROPA CHE E’ IN NOI, tema sul quale ho focalizzato la mia attenzione negli ultimi tempi e che mi riprometto di sviluppare, per orgoglio di identità e di appartenenza. Ne avverto la necessità proprio nel momento in cui l’Europa, intesa come UE, conosce uno dei momenti più drammatici della sua storia e che giustamente è uno dei temi centrali di tutte le forze politiche in questa campagna elettorale dall’esito molto incerto e problematico Comincio con Paestum, come è giusto che sia, ma poi verrà Velia e la sua scuola filosofica, Agropoli e il suo “ribat”, Amalfi e la sua Repubblica, Salerno e la scuola medica, Palinuro il Grand Tour e la letteratura del viaggio, Padula e la sua Certosa, l’emigrazione ed il meticciato/ibridazione della cultura, ecc. Lo faccio anche sulla scia dell’ ammirazione/idolatria del nostro territorio, greco e magno/greco, di personaggi del livello di Winckelmann, Shcliemann, per non parlare di Ghoethe, Madame de Stael, Holderlin, Nietzsche, ecc, tutti esponenti del mondo culturale dei paesi del Nord Europa., che esigono il rispetto scrupoloso e fiscale dei trattati dell’UE e che, così, rischiano, secondo molti osservatori, me compreso, che per circa 30 anni ho curato la nota trasmissione “Obiettivo Europa” per la prima rete di RadioRai, rischiano (ripeto) di infliggere un colpo mortale all’Europa Unita Il grande Shelley, nella prefazione di “Hellas”, scriveva con determinata e documentata convinzione ammirazione: “Siamo tutti greci (anzi magno greci aggiungo io). Le nostre leggi, la nostra letteratura, la nostra religione, le nostre arti hanno le loro radici in Grecia. Se non fosse stato per le pagine belle e coinvolgenti dei miti e della grande storia, degli dei e degli eroi, che si cantano ancora sulle rotte del Mediterraneo, ai cui margini sono nato, figlio di una Magna Hellas, probabilmente non potrei proclamarmi “cittadino europeo” nella pienezza dei miei diritti e dei miei doveri e, come tale, continuare a sentirmi ancora e sempre più, secondo le leggi del Mytos, del Tumòs e del Logos, “GRECO PESTANO” di cuore, anima e pensieri come proclamano e cantano orgogliosamente i versi di una mia poesia. E sono in ottima compagnia con il mio Amico e Maestro. Salvatore Quasimodo, che si definiva e si sentiva, “Greco siculo” e che, come tale, ha tradotto, ricreandoli, i lirici e i tragici greci.
Dobbiamo recuperare l’orgoglio di identità dei nostri primi Padri. Lo abbiamo appannato di molto, se non addirittura perduto e/o cancellato. Forse ne resta vivo il ricordo in una piccola minoranza elitaria, sempre più piccola e sempre più elitaria che, chiusa nella sua torre d’avorio, frequenta biblioteche e libri storici e raramente si “sporca” con l’impegno politico e civile della quotidianità.