Le cronache di questi giorni ci rimandano la notizia che l’Isola Isca, in territorio di Massa Lubrense, è stata acquistata da due imprenditori di Positano, Giacomo Cinque e Riccardo Ruggiti, proprietari della società Antica Sartoria. Una notizia che certamente non termina qui, essendo quell’isolotto, segnato sulle carte nautiche come Scoglio Isca, l’isola di Eduardo De Filippo, per cui i vertici del Parco Marino di Punta Campanella hanno già avanzata la richiesta di prelazione nell’acquisto, così come prevede la legge per beni di un certo interesse pubblico. Per quanto ci riguarda crediamo che restando ai privati quell’isolotto sarà ben tenuto e potrà rappresentare un punto di riferimento culturale per l’avvenire, mentre entrando a far parte dei beni pubblici ha molte probabilità di avviarsi su una strada di abbandono e degrado: molto spesso il pubblico non ha le risorse per gestire il suo patrimonio, tant’è che Il Parco Marino ha dovuto fare richiesta finanziaria al competente Ministero non avendo nelle sue disponibilità la somma necessaria per l’acquisto.
«E’ il giusto collegamento tra Capri e Positano – dicono i neo proprietari – ne faremo un posto magnifico per isolarsi. Preservandolo, ne faremo un luogo per ospiti speciali».
Al di là, però, di ogni aspetto di cronaca, quell’isolotto rappresenta un punto di riferimento culturale non trascurabile se si pensa che lì Eduardo si ritirava non solo per riposo, ma anche, e forse soprattutto, per godere di quella pace che gli permetteva di scrivere i suoi capolavori: proprio qui sono nate alcune delle opere teatrali più importanti di sempre.
Eduardo acquistò la proprietà nella seconda metà degli anni ’50 e vi costruì una bella e ampia casa con pavimenti di ceramiche di Vietri sul Mare. L’isolotto è di fronte a Punta Campanella e a Li Galli, che furono acquistati dal coreografo e ballerino russo Léonide Massine e, dopo oltre cinquant’anni, dall’altro ballerino russo Rudolf Nureyev. Famose erano le visite che Eduardo con la moglie Isabella si scambiava con Massine, raggiungendo l’isola del ballerino con il loro gozzo: il San Pietro avendo l’effigie del santo come polena.
L’isolotto, chiamato “Galluzzo” dai pescatori del luogo, aveva conservato ampi resti di una grande villa d’epoca romana che comprendeva due ninfei in altrettante grotte naturali. Raccontano gli storici che tutte le costruzioni – domus, cisterna e ninfei – si trovavano sul versante che guarda la vicina costa.
Di sicuro Eduardo è stata e ancora lo è un’icona dell’identità e della cultura napoletana, maestro della letteratura che grazie alla sua arte teatrale e poetica ha incantato e continua a incantare intere generazioni e non solo in Italia. Il legame che De Filippo aveva con Positano era forte e particolare: ne sono testimoni alcuni particolari di vita vissuta. Per questo motivo il Comune di Positano ha ospitato la mostra di foto “Eduardo Artefice Magico”, recentemente chiusa, organizzata da Daniela Morandini. Foto di scena quasi tutte inedite, scattate dalla giornalista quando aveva poco più di vent’anni e incominciava il lavoro di cronista, e che ora ha tirato fuori dal suo prezioso archivio.
«É stato il bisogno di riaprire un sipario – dice la Morandini – digitalizzando questi negativi quando la pandemia ha imposto di chiudere i teatri. Sono le foto di scena degli ultimi capolavori: maschere, sentimenti e voci di dentro che mi hanno accompagnata per quasi cinquant’anni». Non solo perché la Morandini è legata alla terra delle sirene da più generazioni. Ha trascorso molte stagioni al Fornillo di Aniello, l’Ercole di Positano che “viveva il mare come un pesce e la spiaggia come una casa aperta agli amici”. Lì come in altre parti del paese, si pescava al momento, si mangiava insieme e si parlava fino a tardi. «Era un modo di essere semplice e antico», ricorda la Morandini.
E il sindaco di Positano, Giuseppe Guida, aggiunge «Eduardo De Filippo è un’icona dell’identità e della cultura napoletana, uno dei più grandi Maestri della nostra storia che con la sua arte letteraria e poetica ha incantato intere generazioni e questa mostra rappresenta il vero significato della parola “identità”. Così Positano, ancora una volta, è crocevia di culture diverse che si integrano tra loro e solo mantenendo ben salde le radici e le tradizioni intese come cuore della nostra comunità, sarà possibile guardare avanti con spirito di ottimismo e produttività e siamo onorati di poter ereditare i pannelli fotografici che saranno custoditi dal Comune di Positano». E la mente va a quel periodo tra le due grandi guerre, quando Positano era diventato il rifugio dalla storia per i tanti perseguitati dai due grandi totalitarismi del Novecento.
Una magia, quella di Eduardo, che è andata perduta con la sua scomparsa e che le nuove generazioni non conoscono. La scelta di Positano, pertanto, per la mostra non è stata soltanto un voler entrare nella magia del posto presentando la magia del teatro di Eduardo, ma soprattutto per il legame affettivo che legava Eduardo a quel mare e a Positano.
Come iniziavano le belle giornate di primavera, Eduardo giungeva sull’isolotto a bordo del suo gozzo: il San Luca. Isolato da tutto, sulla terrazza fronte costiera, si godeva il silenzio dell’infinito e la pace dell’immensità: forse l’unico posto dove Eduardo si faceva spettatore.
Accanto alla grande casa di famiglia, aveva anche una casetta tutta sua: una stanza con finestra sul mare, il suo studio, dove scriveva quei capolavori del teatro napoletano.
Il suo rapporto con Positano era forte e antico: la conosceva già prima dell’ultima guerra e alcuni suoi amici, come Vittorio De Sica, Andreina Pagnani, Cesare Giulio Viola, avevano comprato casa, tant’è che anche lui ne voleva comprare una appena se ne fosse presentata l’occasione. La guerra, però, fece rinviare ogni proposito a tempi migliori. Il sogno si realizzò, però, a pace fatta, quando il banchiere Vittorio Astarita, amico di Eduardo, gli offrì l’acquisto dell’isolotto di Isca, al largo di Marina di Cantone. «La bellezza, la unicità del posto – ricordava la moglie Isabella Quarantotti – la piccola casa assai graziosa arredata con mobili di bordo di un lussuoso yacht inglese in disarmo, il prezzo d’affezione costituivano una forte tentazione, alla quale Eduardo non seppe resistere». E così i coniugi De Filippo divennero dirimpettai di Léonide Massine, che abitava nella poco distante isola maggiore de Li Galli.
Col passare degli anni le presenze di Eduardo a Positano si intensificarono e qui scrisse due commedie teatrali: la prima nel 1958 “Il figlio di Pulcinella” e la seconda nel 1973, certamente tra le più note del teatro di Eduardo “Gli esami non finiscono mai”.
“Il figlio di Pulcinella” vide la luce a “Casa Passalacqua”, in cima alla scalinata Montuori, dimora dell’amico ing. Giulio Mascolo, dove Eduardo era ospite. La moglie ricordava che si svegliava presto e alle 6,30, dopo una tazza di caffè, era già al tavolo di lavoro. Dopo una breve pausa per il pranzo, riprendeva il lavoro e andava avanti sino alle sette di sera. In quelle ore del tramonto, seduto sul terrazzo di Casa Passalacqua, insieme alla signora Isabella, Eduardo godeva dell’aria e dello splendido panorama sull’azzurro mare di Positano. Ricordava la moglie: «Chiacchieravamo guardando il mare, ascoltando il canto degli uccelli, sempre così intenso al tramonto e…aspettando. Aspettavamo un topo di campagna, dalla folta pelliccia dorata e le zampette agili, che ogni santa sera si presentava tutto indaffarato svoltando l’angolo sinistro del tetto e poi, trotterellando di buon passo, si avviava verso l’angolo opposto, dove si tuffava in un ciuffo di gelsomini e spariva». Per i De Filippo era il segnale che bisognava andare a cena, in uno dei ristoranti del paese, dove Eduardo incontrava gli amici, tanti, tra i quali Gennaro ‘o Polese, ‘o Capurale, Carlino Cinque, Tobia Savino de “Il covo” e i Rispoli della “Buca di Bacco”. Con gli amici spesso Eduardo faceva le 2/3 di notte giocando a scopa e a sette e mezzo, con relativi “sfruculiamienti”.
Passarono 15 anni ed Eduardo, nelle stanze dell’esclusivo San Pietro di Carlino Cinque, scrisse “Gli esami non finiscono mai”.
Ma fu nella casa all’Isola Isca che il “maestro” scrisse quel capolavoro messo in onda dalla Rai in sei puntate: Peppino Girella. Il lavoro era nato da un racconto scritto dalla moglie Isabella, che si era ispirata ad un ragazzino di dieci anni, Giovanni Romano, figlio di Pasquale e Natalina, con bar ai Mulini di Positano. Il racconto era piaciuto ad Eduardo, che decise di trasformarlo in commedia televisiva, scrivendo la sceneggiatura insieme alla moglie nella loro isola. Al termine del lavoro iniziò la scelta del bambino che doveva impersonare Peppino Girella. Furono giorni di intensa attività presso gli studi della Rai di Napoli, ma il bambino non si trovava, almeno non quello che voleva Eduardo. Poi il grande commediografo napoletano si ricordò di aver incontrato a Positano un ragazzino simpatico, che gli piaceva molto per il suo modo di fare; un ragazzino «stranamente bello, un viso irregolare, gli occhi grossi e distanti fra loro, le labbra tumide e i denti bianchi, che quando sorride gli illuminano tutto il volto». Era Giuseppe, figlio di Antonietta Fusco «una bella donna con occhi lucenti come due stelle», che all’epoca lavorava in casa dell’ingegnere Giulio Mascolo. Al secolo il ragazzino, che non aveva ancora 11 anni, era Giuseppe Fusco, divenuto, da grande, professore di matematica. Ma in quegli anni trascorreva le giornate d’estate sulla spiaggia di Positano dove Gennaro o’ Polese affittava il suo gozzo, il mitico “vo’ fa”, ad ospiti occasionali e lui, spesso, si imbarcava con questi ospiti per tenere il timone del gozzo.
Il 31 ottobre 1984, per Eduardo vi fu l’ultimo fondale di scena: un drappo di seta viola e una croce dorata nella camera ardente al Senato, dove era entrato nel 1981, nominato “Senatore a vita” dal Presidente Sandro Pertini. Qualcuno ricordò una sua frase: «Teatro significa vivere sul serio quello che gli altri, nella vita, recitano male».