Uno dei primi e certamente il più importante cenobio del monachesimo italo-greco nel Cilento è, fuori dubbio, quello di San Giovanni a Piro. Sorge a qualche chilometro dal centro abitato, là dove i terreni coltivati cedono il passo a castani, lecci, querce, ontani e consigliano una scalata al Monte Bulgheria.
C’è da incantarsi alla massiccia Torre merlata e ad un gioiello di chiesa in via di recupero. Il vento leggero che scompiglia il fogliame folto degli ulivi e delle querce fronzute, a corona dei ruderi della vecchia abbazia, narra di egumeni potenti e colti, a cominciare dal Cardinale Giovanni Bessarione, che in questo cenobio affinò pietà e cultura prima di legare il suo nome all’istituzione della celebre Biblioteca Marciana di Venezia e al tentativo di pacificazione ed unione delle due chiese, greca e latina, dall’autorevole cattedra del Patriarcato di Costantinopoli. Bella figura di letterato e principe della chiesa quella del Cardinale Bessarione, che a San Giovanni a Piro lasciò preziosi testi di cultura classica e di tradizione religiosa.
Tra i ruderi si individua quella che fu una biblioteca ricca e frequentata, palestra di studi rigorosi, dove regnò sovrano Teodoro Gaza, nato a Tessalonica e qui morto e sepolto, autore dei ben noti “statuti” con cui gli abati-baroni ressero le sorti della comunità religiosa e civile con saggezza, equilibrio e giustizia. E spuntano le tante figure di monaci santi, elevati alla dignità di vescovi e cardinali, di monaci colti che consegnarono ai posteri ponderosi volumi delle loro ricerche in ogni campo, di monaci agrimensori che insegnarono ai contadini nuove tecniche di agricoltura, di monaci speziali che pestarono salute dagli umori delle erbe officinali nelle farmacopee annesse al monastero.
E, poi, la fine con la dilapidazione di un enorme patrimonio di cultura e di storia. I numerosi volumi della biblioteca finirono in Vaticano, i tesori d’arte della chiesa e del cenobio finirono, svenduti da igumeni simoniaci, nelle cappelle e nei palazzi gentilizi. E ce ne sono molti a San Giovanni a Piro a dominio di slarghi, piazzette e vicoli in un centro storico dalla struttura urbanistica e compatta. Oh, le straordinarie sorprese del mio Cilento, che potrebbe attingere a piene mani allo scrigno dei tesori del suo prestigioso passato per un’offerta turistica di qualità nel segno della cultura!
…Basta fare pochi chilometri di strada verso l’interno per scoprire un altro centro ricco di pagine di storia sulla bizantinizzazione del Cilento. San Mauro La Bruca è una terrazza di uliveti spalancata sul corso del Basso Lambro e sul mare dei miti di Caprioli e Palinuro. Sono tanti i turisti che, d’estate, lasciano la costa affollata e s’inerpicano fin quassù alla ricerca di refrigerio tra il verde delle colline e delle montagne e di cibi genuini in accoglienti trattorie di campagna. Ed agli appassionati di storia locale non mancano le sorprese di natura culturale. E dagli antichi archivi emergono le figure dei Cavalieri di Malta che qui ebbero un feudo che si estendeva fino a Rodio, la silenziosa frazione di Pisciotta sospesa tra cielo e mare, dove un maestoso Palazzo fa bella mostra di sé nella minuscola piazza. E ti incanta con quei mascheroni da sberleffo birichino. Chissà come erano finiti fin qui i Cavalieri di Malta a reclamare tributi da poveri contadini sudditi e a fare incetta di prodotti della terra: olio e fichi, castagne ed ortaggi e miele squisito per pasticceria di qualità. Ecco un tema di ricerca interessante per universitari alle prese con tesi di laurea originali, e/o per giovani studiosi desiderosi di esplorare periodi pressoché sconosciuti.
Ma San Mauro La Bruca parla anche di monaci italo greci, che qui collocarono sacre icone lungo la “Strada dei Monaci” e fondarono laure e cenobi sul “Monte dei Monaci”. Ed il loro passaggio è ancora oggi ben visibile nella bella cripta a croce greca della chiesa di S. Eufemia, dove è possibile ammirare, tra l’altro, interessanti affreschi d’arte popolare raffiguranti episodi della vita della Santa. Pare che in questa chiesa si praticasse il rito greco fino al XVII secolo.
Ma chi avesse voglia di approfondire la conoscenza del monachesimo orientale e rifare i percorsi dei monaci italo-greci non ha che da spostarsi di qualche chilometro e raggiungere S. Nazario, poco più che un pugno di case a corona della Chiesa Madre, dedicata al Santo che dà il nome al paese. Poche centinaia di anime, le cui speranze di sopravvivenza sono legate alle “buone annate” degli uliveti, allo smercio delle castagne delle vicine montagne, alla laboriosa fecondità delle api nelle arnie e, da qualche anno a questa parte, alle incursioni dei turisti dalle coste scintillanti di vita mondana di Caprioli di Pisciotta e Palinuro.
Gli abitanti sono legatissimi al loro Santo Patrono e ne venerano, con feste a più riprese lungo il corso dell’anno, le sacre reliquie trasferite dalla lontana Milano in questo angolo di mondo del Cilento. Qui approdò da Rossano di Calabria S. Nilo per vestire l’abito monastico nella locale abbazia, conosciuta ed apprezzata in tutta l’Italia Meridionale e non solo. Con la vicina Abbazia di Eremiti esercitò una influenza notevole su tutto il territorio, assolvendo al ruolo di centro di vita religiosa, di attività culturale, di mercato per lo smercio dei prodotti agricoli. La presenza di un personaggio come San Nilo, figura di santo e di uomo di cultura dalla forte personalità, attirò l’attenzione sull’Abbazia di San Nazario di tutto il mondo politico e religioso. S. Nilo fu un innologo apprezzato ed un raffinato calligrafo, tanto che nel Medioevo gli amanuensi riscrissero Sacre Scritture e libri di preghiera in stile “niliano”.
E l’Abbazia di San Nazario fu nota anche per una piccola industria, creata e sviluppata ad opera dei monaci e favorita dalla posizione del luogo, dalla facilità di allevamenti per la presenza dell’acqua corrente e di pascoli adatti: “la concia delle pelli” di capre e pecore. Se ne ricavavano “pergamene” che esperti amanuensi utilizzavano per trascrivere libri di cultura e di preghiera. Esistono ancora oggi, non lontano dalla chiesa parrocchiale, tre vasche per la concia delle pelli, dalla tradizione popolare chiamata “concia dei monaci”.
Ecco un altro capitolo di storia tutta da riscrivere per rispondere ad una serie di interrogativi legittimi: Quando e perché iniziò la decadenza dei centri di vita monastica e culturale dei monaci italo-greci? Dove sono finiti i testi pazientemente trascritti dagli amanuensi? Come e quando sono cessate feconde attività economiche, artigianali, agricole, introdotte e potenziate dal monachesimo orientale? Quando e perché è cessata la coltivazione delle erbe officinali, che rese utile e fiorente la farmacopea monastica?
Sono interrogativi che aleggiano sul territorio delle valli del Lambro e Mingardo, dove i monaci basiliani esercitarono il loro magistero di evangelizzazione e di cultura, ed attendono risposte da studiosi innamorati del Cilento e della sua storia.