di Giuseppe Liuccio
Cara Camerota,
ti conoscevo da sempre perché hai dato il nome ad un delizioso angolo di mondo, perla della “Costa dei Miti” nel mio Cilento. Ma ignoravo la struggente e dolente storia d’amore, di cui fu vittima Palinuro, che, sulla scia dei versi di Virgilio, ritenevo perito tra i flutti, perché ingannato dal dio Sonno, apparsogli, in una notte di luna, sotto le sembianze dell’amico Forbante. Ma nel corso delle mie ricerche mi ferì di dolcezza un’altra storia, di cui si fece cantore appassionato Bernardino Rota nel suo bel libro “Silvarum seu Metamorphoseon liber”: Palinuro precipita in mare perché ammaliato dal tuo canto dolcissimo. Ti vede nuotare con ritmo armonioso in una calda notte di plenilunio e si innamora follemente. E l’amore perde l’incauto amante. Tu campeggi a tutto campo nei versi del poeta: ninfa bellissima ed inafferrabile, tanto consapevole del tuo fascino quanto insensibile ai corteggiamenti di uomini e dei. Stupisci perfino la dea Tetide per la grazia e l’abilità nel nuoto. Incanti i mostri ed intenerisci i sassi per la dolcezza del tuo canto, giocano i pesci e danzano i delfini al ritmo della tua voce, una balena che emerge dal profondo dei flutti ti ascolta a bocca aperta, quasi immobilizzata dalla tua voce. C’è una sospensione di attesa da grandi eventi in quel plenilunio che rovescia fiotti d’argento sul mare. E quel canto, che si disperde, tenero e lacerante insieme, nell’immensità delle acque e nel silenzio sacro della notte, conquista il nocchiero di Enea, che se ne sta immobile e bello come un dio sulla poppa della nave. C’è atmosfera da epifania d’amore. Ed il miracolo si compie improvviso, irresistibile, impetuoso come il turbine della passione di fronte alle fattezze ineguagliabili di un corpo eburneo, il tuo, da fare gola a Giove e che scivola sinuoso a pelo d’acqua. Amore sfortunato e fatale! Tu dura ed insensibile come una pietra rifiuti la corte e non curi l’eroe, che ingenuo ed incauto, ferito dalla dolcezza del canto ed abbagliato dalla bellezza della tua visione, si assopisce e, rapito, sogna e sognante poggia le vacillanti membra a inesistenti sostegni e precipita inabissandosi nei gorghi, vittima di una insana passione. Ah, potenza dell’amore, il dio che colpisce e non perdona! E chi non ne è stato vittima, soprattutto nella cornice di malia della terra a cui hai dato il nome? Ma implacabile sopraggiunge Venere, carica d’ira e di vendetta. Non può tollerare che venga impunemente colpito a morte il nocchiero della flotta del figlio Enea e che si metta in forse l’esito del viaggio voluto dal Fato; e, forse, lei, dea dell’amore, mal sopporta la insensibilità del cuore di una ninfa tanto bella quanto scostante e crudele. E, allora, prima si appresta a dare pietosa sepoltura a Palinuro, raccogliendone le membra sparse e componendole in un monumento sepolcrale sul colle che si protende precipite sul mare, e, successivamente, si prepara a consumare la vendetta contro di te. E, ricordi?, pagasti lo scotto del tuo rifiuto d’amore. Nulla resiste alla furia di una dea potente come Venere. E, mentre ti accingi,come sempre, a scendere in acqua con grazia e levità, le gambe affilate ed agili ti si intorpidiscono, i seni armoniosi e turgidi si fanno sassi appuntiti, il tuo volto si pietrifica nell’istantanea di un sorriso. E tu, Camerota, fosti scoglio bianco tra luminose scogliere. Sul tuo amaro destino di ninfa bella ma sventurata versano lacrime le ninfe che popolano colline, vallate e monti tutt’intorno: Si dispera Molpa, roccia precipite sul mare, piange Centola con le lacrime dei palmenti dei suoi cento vigneti, intona il lamento funebre Montano Antilia sullo zufolo pastorale, è triste Velia. La ferale notizia si diffonde con la rapidità del baleno e porta lutto finanche alla lontana Trentinara che si specchia nelle acque del Solofrone ed anche a Giungano che tinge di nera fuliggine il rosso delle profumate rose pestane. Ed il dio Eolo irrompe rabbioso, con la furia dei venti liberati dall’otre, a seminare rovina e morte nei campi coltivati. Ma la furia di Venere ancora non è sazia. La dea intende perpetuare nel tempo la sua vendetta. E stabilisce che il luogo, che accoglie il tuo corpo pietrificato, sia per secoli obiettivo preferito di pirati predoni. E, a questo punto, la fantasia del poeta si sbriglia e mescola bellezze panoramiche ed eventi storici, montagne coronate di verdi boschi e rocce a catapulta sul mare, assalti di saraceni che irrompono con furia feroce su popolazioni inermi, assetati di sangue e voraci di bottino, vagiti di bimbi spauriti attaccati alle poppe di mamme violentate senza pietà, capricci di natura tra grotte, rifugio di naufraghi e regno incontrastato di pesci in un incredibile e sconcertante transfert tra passato e presente. E tu, bellissima ninfa della mia terra, sei stata sempre lì, nel tuo letto di pietra, testimone di eventi e gelosa custode di bellezze: colline fiorenti di vigneti generosi, fiori multicolori in un clima di eterna primavera, macchie di ulivi secolari che rovesciano dolcemente colate miti di lava argentea fin sulla battigia. Io ho condiviso con commozione il canto di Bernardino Rota e l’ho tradotto come un atto di amore per una terra incomparabilmente bella, la cui malia attinge forza e seduzione alle radici del tuo mito, che perpetua nei secoli una dolente storia d’amore su di una bianca scogliera, che nelle notti di plenilunio Palinuro dilava con il pianto di un innamorato sfortunato, ricamando fiori di schiuma sul tuo corpo di pietra di ninfa maliarda e crudele. E tu, mia bella Camerota, immobile nell’acqua, sei sentinella di sasso di un altro sepolcro, che, di fronte, sigilla nella sua mole di roccia precipite il corpo di Palinuro, amante deluso. E nelle notti di luna il risucchio del mare tra le grotte è richiamo di innamorati che si cercano, si trovano e si congiungono finalmente sazi d’amore nel translucido letto d’amore. A me è capitato più volte nel corso degli anni e tu, forse intenerita dalla vendetta di Venere e in parte riconoscente per il mio canto di poesia, mi sei stata pronuba d’amore per tante ninfe contemporanee, ferite di dolcezza e rese disponibili dalla storia del mito, alla cui narrazione sono ricorso un po’ per cultura e un po’ per civetteria. Ha funzionato sempre; e, all’occorrenza, funzionerebbe ancora. Ne sono certo. Te ne sono grato, mia cara e bellissima ninfa della mia terra, per tutte le seduzioni di malia e le tenerezze smemori d’amore che hai saputo regalarmi.