“Nessuno che sia giovine indugi a filosofare, né divenuto vecchio si stanchi di filosofare:perché l’età di ognuno non è mai immatura né troppo matura per la salute dell’anima. E chi affermi che l’ora di filosofare non è ancora giunta oppure che è già passata è come se dicesse che l’ora della felicità non è giunta o è già passata”. (Epicuro, Epistola a Meneceo )
Da tempo, maestro Epicuro, attendevo con ansia al tuo appuntamento ma lo scorrere cronologico delle mie lettere mi cingeva i fianchi e mi diceva “dove andare” ed io obbedivo ma ora e con che gioia, che dopo tanto cammino sono giunto alla tua porta e davanti a me già si annuncia il profumo del tuo odoroso “Giardino” busserò e come testimonia Diogene Laerzio, tu, maestro, nella “tua invincibile bontà” mi aprirai e mi farai entrare perché come era tuo provato costume, chiunque,uomo, donna o schiavo chiedesse di filosofare tu accoglievi e nella frugalità di una cena di “solo acqua e di un semplice pane” mi farai sedere accanto a te insieme ai tanti allievi e cenerai tu con me ed io con te e … come era luogo ad ogni tuo ospite mi farai dono ad una ad una delle tue cinquanta “Massime Capitali“ e finalmente come già mi annuncia il mio saccheggiato eppure tanto amato Diogene, per la via della “verità” che “è e che non è possibile che non sia” io saprò,conoscerò il tuo vero pensiero. Molti infatti inseguendo la via dell’“opinione” che, come ammoniva il “terribile e venerando” filosofo di Elea, “non è e che è necessario che non sia” hanno voluto e letto in te il primo ”epicureo” che volto alla ricerca della felicità nei beni materiali,“rotto” e dissipato ai piaceri della carne, avrebbe tenuto “a gran dispitto” senza freni con la divina “misura” la saggezza… nulla di più falso, perché tu, maestro,se con Democrito ritenevi che gli “atomi” fossero gli elementi originari e fondamentali dell’universo e che “ i principi delle cose sono indivisibili e hanno natura corporea” e quindi con il corpo facesti mortale anche l’anima pagandone anche il padre Dante il prezzo quando assegnandoti a quelle “arche” infuocate dove bruciano gli eretici di te scrisse: “suo cimitero da questa parte hanno/ con Epicuro tutti i suoi seguaci/ che l’anima col corpo morta fanno” tu non mai, maestro, dell’anima mortale ne disdegnasti con la saggezza la divina “misura” chè anzi condannando tu con disprezzo la“volgare” ricerca del piacere dei tuoi tanti detrattori, così precisavi, ammonendo il tuo discepolo Menaceo: ”Quando dunque noi diciamo che il piacere è il compimento supremo della felicità, non intendiamo riferirci alle voluttà dei dissoluti ed ai godimenti sensuali, come pur vogliono alcuni per ignoranza o dissenso o fraintendimento, intendiamo bensì l’assenza di sofferenza fisica e l’imperturbata tranquillità dell’anima. Perché …. principio di tutte queste cose e il più grande bene è la saggezza: perciò possesso più prezioso della filosofia è la saggezza, da cui si originano naturalmente tutte le rimanenti virtù. Essa insegna che non può esservi vita soave senza vivere con saggezza, moderazione e giustizia né può esservi vita saggia, moderata e giusta senza vivere felicemente. Perché le virtù sono connaturate alla vita felice e la vita felice ne è inseparabile … Questi precetti, dunque, ed altri a questi affini, giorno e notte, medita per te stesso e per essere uguale a te stesso, né mai, né in veglia né in sogno, sarai turbato, ma vivrai come un dio tra gli uomini, che in nulla è simile a creatura mortale l’uomo che vive tra immortali beni”… assegnando “all’assenza di sofferenza fisica e all’imperturbata tranquillità dell’anima” la felicità e non invece al banale soddisfacimento del piacere da quale tu, maestro, auspicavi anzi la liberazione, quando… distinguendo tra il piacere “stabile” e quello“in movimento” affermavi che solo nel “piacere stabile” ossia nel“non soffrire e non agitarsi” consisteva la felicità. Ed oltre i tuoi tanti, troppi “interessati”detrattori che ti vollero scontato in un volgare edonismo perché scrivevi che: “Per mio conto io non so concepire che cosa è il bene, se prescindo dai piaceri del gusto, dai piaceri d’ dai piaceri dell’udito, da quelli che derivano dalle belle immagini percepite occhi e in generale da tutti i piaceri che gli uomini hanno dai sensi. Non è che solo la gioia della mente è un bene; giacché la mente si rallegra nella speranza dei piaceri sensibili, nel cui godimento la natura umana può liberarsi dolore” tu, maestro, avanzasti e di tanto se continuando avessero i tuoi detrattori letto a compimento che la“vera”felicità per te, maestro, era non il piacere ma la “divina misura” che osservandola con la tua scuola e i tuoi tanti amici tu,maestro, non mai tradisti e fu la tua vita chè non “le bevute o i banchetti continui né il godimento di fanciulli e di donne né il gustare pesci e quante altre leccornie offra una tavola sontuosa generano una vita felice, ma un sobrio “calcolo” che ricerchi le cause di ogni scelta e di ogni avversione e bandisca le vane opinioni per opera delle quali un intenso tumulto s’impadronisce delle anime. Principio di tutte queste cose e il più grande bene è la prudenza: per questo la prudenza è anche più preziosa della filosofia è la prudenza, da cui si originano naturalmente tutte le rimanenti virtù”…ma la “prudenza” che esercitata nel vanto dell’amicizia e nella cura quotidiana del filosofare precipitava maturando quella distacca abitudine all’imperturbabilità dell’anima che tu,maetsro, chiamavi “atarassia”ovvero assenza di turbamento o“aponia” di dolore fronte alle paure del mondo e degli dei e che fu tra le tue quaranta “massime” la tua “Massima Capitale”. E se la “follia”,come ebbe a definirla Diogene Laerzio, dei tanti calunniatori vinse …. a noi, come ancora Diogene conferma:”pare evidente che il nostro uomo (Epicuro) ha sufficienti testimoni della sua invincibile probità di sentimenti verso tutti: la patria che l’onorò con statue di bronzo; gli amici il cui numero fu tale che non potrebbero essere rintracciati e contati in intere città…. e la gratitudine ai suoi genitori, la benefica generosità verso i fratelli, la mitezza verso i servi, come risulta evidente dal suo testamento …. e in generale la sua filantropia, i dispiegava verso tutta l’umanità. Le parole non riescono a rappresentare la profondità della sua disposizione spirituale per quel che riguarda il sentimento di pia devozione verso gli dèi e di amor di patria. E per eccesso di moderazione non prese neppure parte alla vita politica…. continuò lì ( ad Atene) a vivere, eccettuati due o tre viaggi in luoghi della Ionia per visitare gli amici. E gli amici venivano a lui da ogni parte e vivevano insieme con lui nel giardino e…. si contentavano di una ciotola di vino di nessun pregio, ma di solito bevevano sempre acqua….ed egli stesso dice nelle Epistole che si contentava solo di acqua e di un semplice pane. Così egli scrive, tra l’altro: “Mandami una pentolina di formaggio perché io possa, quando ne abbia voglia, gozzovigliare” ( sic!). Tale era l’uomo e…così l’esalta Ateneo in un suo epigramma:”Uomini, vi affaticate per cose di nessun pregio, e per conseguire un guadagno, avidi, scatenate risse e guerre. Ma breve è il limite della ricchezza che la natura stabilisce, mentre il vano giudizio umano l’estende all’infinito. Questo messaggio il savio rampollo di Neocle udì dalle Muse o dai tripodi sacri di Pito”. “e questo fu,maestro, il tuo testamento quando, all’età di settantadue, anni durando la tua malattia il quattordicesimo e sentendo vicino il tuo trapasso chiamasti i tuoi amici intorno a te e additando i giorni belli trascorsi insieme entrasti in una tinozza di bronzo piena di acqua calda e dopo averli raccomandati rimanere fedeli e memori della tua dottrina, bevendo “avidamente” del vino puro serenamente ti spegnesti senza… paura perché ,come tu sempre ricordavi al tuo amico Meneceo: “ Il più terribile dei mali, dunque, la morte non è niente per noi, dal momento che, quando noi ci siamo ,la morte non c’è,e quando essa sopravviene noi non siamo più. Essa non ha alcun significato nè per i viventi è per i morti, perché per gli uni non è niente e,quanto agli altri,essi non sono più”… consegnandoti se non all’eternità dell’anima che tu al pari del corpo ritenevi mortale ma a quella forse più grande umana eternità della storia che raccogliendoti per quel pregevole epitaffio di Diogene“Addio e siate memori della mia dottrina! Queste furono le estreme parole di Epicuro morente agli amici. Chè entrato nella tinozza bevve, in un sorso, vino purissimo e il freddo Ade” ti volle ,incoronato dei sacri pampini, eterno lettore insieme al grande Zenone di Cizio in quella famosa “Scuola di Atene”che fu del “divin maestro” la gloria e di me la nostra “cura” imperfetta !
Questo,maestro, nei giorni di mezzo del dicembre che avanza il fugace amore passeggero … il fiore che ti porto!
(Chiusa nelle prime ore meridiane del giorno 20 di dicembre dell’anno 2018)