Capaccio è un dialetto di pietre metriche e di rughe, di case grigie, un campanile di storie e di affetti, di progetti negati, di croci e di favole da custodire. E’ il luogo d’incontro per inventare altre stazioni, Capaccio, di ciò che ancora rimane è il cimitero delle mie illusioni, un camino di brace, la fantasia di chi intende offrire ai bambini il piacere di vivere e la fatica della memoria.I pensieri, anche quelli più neri, stanotte non contano se guardo la luna al buio, qui a Capodifiume. Dimentico i guai, le amarezze, i torti subiti e le inutili attese se osservo tra la nebbia del fiume e il nero misterioso delle montagne lassù in alto, la Madonna del Granato. Se fossi un bravo pittore (e talvolta lo sono) dipingerei il buio senza tempo di questa notte, il rumore dell’acqua, il silenzio del fiume e l’accecante luce del santuario. Il risultato sarebbe sublime, se riuscissi nell’impresa. Umilmente ci provo: chissà se un giorno riuscirò nell’intento? Intanto mi godo questa notte d’incanto, è inverno, non sono triste, è già tanto, ho tante altre notti da consumare istante per istante (non è poco), in attesa di tempi migliori.
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