Il primo tentativo di stabilire la consistenza numerica della nostra emigrazione risale al 1871 quando fu pubblicato uno studio di Leone Carpi; quindi, nel 1874 abbiamo un importante saggio, Dell’Emigrazione in America, scritto dal nostro conterraneo Giovanni Florenzano, mentre bisognerà attendere il 1876 per avere il primo tentativo di statistica sistematica disposta dal Ministero dell’Agricoltura. I primi dati relativi alla nostra provincia sono propri quelli forniti da Giovanni Florenzano, tratti dal quadro statistico dell’emigrazione nelle province napoletane, estratti da L’Italia Economica. Purtroppo, però, sono divisi non per comuni bensì per Circondari (la provincia di Salerno era suddivisa in quattro Circondari: Salerno, Campagna, Sala e Vallo della Lucania).
Sappiamo, quindi, che nel 1872 emigrarono dalla nostra provincia 4.530 persone (comprese donne e bambini): dal Circondario di Salerno partirono in 140 (di cui 8 donne e 10 bambini) su una popolazione complessiva di 248.576 abitanti; 194 (tra cui 8 clandestini) partirono, invece, dal Circondario di Campagna (103.839 abitanti); 1657 (di cui 31 clandestini partirono dal Circondario di Vallo della Lucania (100.109 abitanti) e 2.521 (di cui 105 clandestini) partirono dal Circondario di Sala (86.108 abitanti). Nel primo semestre del 1873 dalla nostra provincia partirono complessivamente 1.575 persone: 61 dal Circondario di Salerno, 136 da Campagna, 591 da Vallo e 787 da Sala.
Come si evince dalla lettura dei dati, il maggior numero di partenze si ebbe nei due circondari a sud della provincia (Vallo e Sala) e la spiegazione è semplice: erano i due comprensori dove si stava peggio sia dal punto di vista economico che sociale. Certamente migliore era la situazione nel Circondario di Salerno, sia per la presenza del porto nella città capoluogo, sia per l’attività delle fabbriche nella Valle dell’Irno che impiegavano parecchie persone.
Analizziamo alcuni dati: con il primo censimento del Regno, la popolazione del comprensorio risulta di 58.649 persone. Dal 1861 e fino al 1911, per il perdurare della depressione economica, l’emigrazione, già presente prima dell’Unità, riprende con maggiore intensità tanto che la popolazione rimasta supera di poco le 45.000 unità con un decremento di oltre il 23%. Nel Vallo di Diano i centri più colpiti dal decremento furono Padula (con una percentuale del 30%, non a caso definito “il paese degli Americani”), San Pietro al Tanagro (28%), Buonabitacolo (24%), San Rufo (20%) e Polla (10%).
Dal 1884 al 1915 dal Vallo di Diano emigrarono quasi 55.000 persone con una media annua di poco superiore alle 1.400 unità. La punta massima si verificò nel 1887 con 2.675 emigrati ed i centri maggiormente interessati al fenomeno risultarono Sala Consilina, Atena Lucana, Polla, Padula e Montesano. Nello stesso periodo, cioè dal 1884 al 1915, lasciarono San Rufo 1.747 persone e la punta massima si ebbe nel 1896 con 101 partenze.
Dopo la pausa causata dal primo conflitto mondiale, nel 1919 il movimento migratorio riprese con una media annua di circa 800 partenze con una punta di 1.000 partenze nel 1920. Durante il Ventennio Fascista la politica autarchica del Regime e le restrizioni poste alle immigrazioni da parte degli Stati Uniti d’America, dove nel frattempo il flusso migratorio si era spostato, fanno registrare, nel 1936, un aumento della popolazione di 11.000 unità rispetto al 1911.
Oggi l’emigrazione è in ripresa. Negli ultimi 25 anni sono emigrati dal Sud circa tre milioni di persone. Lo segnala il rapporto Svimez sull’economia del Mezzogiorno presentato alcuni anni fa.
A questo punto possiamo anche chiederci se l’emigrazione sia stata un fatto positivo oppure negativo per l’Italia. Per rispondere all’interrogativo ci si può servire delle considerazioni espresse da tre autorevoli esponenti politici di ieri, gli on.li Giovanni Camera, Giustino Fortunato e Giovanni Florenzano, vissuti quando il fenomeno era in piena espansione.
L’on. Camera si interessò molto di emigrazione e, nel 1910, per incarico del Presidente del Consiglio dei Ministri effettuò una missione in America Latina per verificare di persona i problemi dei nostri connazionali. Il deputato del Vallo di Diano riteneva l’emigrazione “un fenomeno positivo principalmente dal punto di vista economico perché nella maggior parte dei casi i soldi guadagnati all’estero venivano rimessi alle mogli e ai figli rimasti in Italia”.
Tra coloro i quali la pensavano come Giovanni Camera troviamo Giustino Fortunato a giudizio del quale “l’emigrazione non è un fatto artificiale ma una necessità ineluttabile e, come tale, un grandissimo bene: le provincie meridionali di terraferma le devono la sparizione del brigantaggio e dell’infame tratta dei fanciulli”. Nettamente contrario all’emigrazione era, invece, l’on. Giovanni Florenzano. Ancor prima di essere eletto al Parlamento, nel 1874 Florenzano aveva dato alle stampe un libro, dal titolo Dell’emigrazione italiana comparata alle altre emigrazioni europee: studi e proposte. Contrario all’emigrazione, la considerava “la perdita di numerose forze giovanili per l’agricoltura“. Su questo argomento non c’è mai stata uniformità di giudizio: i borghesi (categoria a cui apparteneva la famiglia Florenzano) sostenevano che era un fatto negativo; i contadini, invece, ritenevano l’emigrazione un fatto positivo perché il lavoro all’estero, per quanto faticoso, consentiva loro di vivere una vita migliore.
Oggi, però, dobbiamo fare i conti con una emigrazione di ritorno: sono tantissimi i nostri connazionali che vorrebbero recuperare il rapporto con le loro origini, per nostalgia o per uno stato di necessità poco importa. Ma questo non dipende solo da loro ma anche da come sapremo accoglierli noi.
E quanto sia forte la nostalgia per il proprio paese ce lo testimonia una breve lettera inviata il 18 marzo del 1931 da Atantic City, nel New Jersey, da Dionigi Lorenzo di Roscigno al Podestà del paese, il dottor Silvio Resciniti. Che cosa si era verificato? Dovendo realizzare il monumento ai caduti, il Podestà si era rivolto ai Roscignoli d’America per chiedere un sostanzioso invio di dollari. Dionigi Lorenzo così risponde: “Carissimo D. Silvio, Risponte alle vostre due lettere la spiegazione e il contratto della ditta Lagana – Napoli. Tutto bene come segnano le lettere delle piccole modificazione e non che il ribasso del contratto. Io ascolto tutto // solamente voglio vedere che cosa mi sapete rappresentare di questo detto Monumente // farete una cosa guarnita, abasta che viene più meglio di quello di Bellosguardo. Non più mi prolungo da parte mia ricevete i miei sinceri saluti a voi tutti e sono il tuo aff.mo Dionigi Lorenzo”. Dalla lettura di questa lettera emerge un dato chiarissimo: Dionigi Lorenzo aveva fatto fortuna in America ma non aveva dimenticato il suo paese.