Nel mio articolo di qualche giorno fa ho scritto un ricordo d’amore e di cultura per Paestum, che è e resta il mio territorio dell’anima. Oggi ritorno sul tema per parlare dei vari corsi d’acqua, che, nel corso dei secoli, hanno svolto un ruolo determinante per lo sviluppo della Pianura: il Sele a Nord la divideva dagli Etruschi, il Solofrone a Sud, il cui corso pacioso, dalla portata limitata, consentiva facili trasmigrazioni/invasioni verso i promontori di Agropoli e Tresino. Quei fiumi hanno acceso la fantasia dei poeti e dei viaggiatori colti, da Virgilio a Gatto e passando per Ungaretti, il primo, di Bernardino Rota umanista di buon livello, oltre che signore di feudi, il secondo. E sarebbe una bella ricerca, non priva di sorprese, la LETTERARIETÀ dei corsi d’acqua che hanno scandito storia e vita del territorio, raccogliendole alle radici dei monti ed arricchendole nei percorsi zigzaganti di pianura prima di miscelarle nei vortici spumeggianti alle foci. Ma la pianura era ed è ferita da altri fiumi, brevi di corso e di bacino, ma preziosi per la fecondità dei campi e, oltretutto, carichi di storia in grado di accendere i riflettori sulla sacralità delle nostre origini: Capodifiume, innanzitutto, di cui mi sono occupato spesso e che merita una ulteriore trattazione, che farò domani. Ma ce ne sono anche altri, di corsi d’acqua, forse sconosciuti ai più. Quanti, ad esempio, sanno che ci fu un tempo in cui al Cafasso brillava alla luce una sorgente limpida e freschissima, all’ombra di un pero selvatico? Oh, il ricordo lacerante di nostalgia della polla del “fiumarello”, dove al seguito della mamma impegnata nel lavoro carico di miasmi del tabacchificio mettevo in fresco melone e “mommola” per la sosta del povero “pranzo”! Oh i canti ariosi delle donne al lavatoio pubblico nell’assolato meriggio di un borgo oggi stravolto dalla speculazione edilizia da rapina e dall’incultura che fa scempio delle memorie! Oh, i miei voli di fantasia ad inseguire i vagoni carichi di frutta della Ditta Bonvicini! Li immaginavo a corsa rapida lungo i binari per il mondo e, invece, finivano a “La piccola” di Capaccio. Oggi i binari non conoscono viaggi di vagoni e non c’è più traccia, neppure, di quella sorgente, così come è scomparso il lavatoio distrutto o trafugato ed incorporato, forse, in proprietà privata nella logica del più becero abusivismo. Ma il fiume riemerge più giù, come mi suggerisce il mio giovane amico, Lucio Capo, collaboratore di questo giornale (potenza della forza della natura!). E, canale fecondo, punta a mare a Ponte di Ferro, dopo aver ricevuto le acque della “Lupata”, che sotto Porta Marina alimentava ed, in parte, alimenta ancora sorgenti per lavandaie, prima, e “tonzo” per bufale, poi. Ma c’è anche un altro fiumarello. Nasce alle radici di Torre di Mare e dopo un corso di poche diecine di metri si versa a mare. Se n’è perduta la traccia in quel labirinto di sconcio urbanistico nel polipaio di case e strade cieche e lidi nel segno dell’abusivismo selvaggio. Più giù, alla contrada Linora, nella proprietà Salati sorgeva e, nonostante tutto, vive ancora un’altra sorgente: “L’acqua dei Ranci”, che nel toponimo rievoca polle fresche e limpide, popolate di granchi (ranci), che nelle stagioni povere della mia infanzia furono carnoso e saporito nutrimento per i “chianaiuoli”, come, d’altronde, le rane dei fossati, che gracidavano il loro canto d’amore alle lucciole ubriache di profumi nelle processioni intermittenti a volo di campi biondi di spighe nelle sere di giugno e luglio prima di finire infilzate (le rane) in spiedi scoppiettanti su falò improvvisati a lacerar le tenebre. Oh, la dolce poesia georgica di una pianura non ancora imbastardita e violentata dalla dilapidazione di un enorme patrimonio ambientale, povera, forse, di risorse economiche, ma ricca di valori! È legittimo pensare che senza la ricchezza d’acqua i nostri Antichi Padri non avrebbero scelto questa pianura per fondarvi una città. L’acqua, quindi, fu, è stata ed è la nostra vita ed ha cambiato la nostra storia. Di qui la necessità di un recupero e di una valorizzazione dei nostri corsi d’acqua, riscoprendone ambiente e vita, flora e fauna in una ricerca rigorosa, che punti al censimento e alla catalogazione delle risorse ed all’analisi della trasformazione del paesaggio rurale attraverso i secoli e ne nobiliti ruolo e funzioni anche attraverso la sua LETTERARIETÀ. Io, nei limiti delle mie capacità, mi sono sforzato di scrivere questa pagina di memorie, sull’onda della nostalgia, per due ordini di motivi: 1) ricordare la mia “pestanità” vissuta al seguito della mamma nei lontani anni dell’infanzia di stenti e di sudori; 2) per ricordare ai candidati sindaci e non che nella pianura ci sono storie personali e collettive, tradizioni e valori che vanno recuperati ed esaltati, perché appartengono all’anima di una collettività molto vasta che comprende certamente gli abitanti della pianura, ma anche quelli delle colline della vasta kora. Vorrei ricordare innanzitutto a me stesso e, poi, agli altri che quella storia va riscritta insieme con il contributo di tutti e che quei valori vanno recuperati con l’orgoglio identitario di tutti i protagonisti.
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