“Nulla è più prezioso dell’acqua (ariston men udor)” cantava Pindaro nella prima olimpiade. E dovettero pensarlo anche i nostri antenati greci quando, sulle rotte del Mediterraneo, approdarono nella pianura e vi fondarono Poseidonia. Il Sele a nord la divideva dagli Etruschi, che governavano città potenti e prosperose, Picentia sui declivi dei monti e Marcinna sul mare. Il Solofrone a sud, il cui corso pacioso dalla portata limitata consentiva facili trasmigrazioni/espansioni verso i promontori di Agropoli e Tresino. Quei fiumi hanno acceso la fantasia dei poeti e dei viaggiatori colti. E sarebbe una bella ricerca, non priva di sorprese, la letterarietà dei due corsi d’acqua che hanno scandito storia e vita del territorio, raccogliendole alle radici dei monti ed arricchendole nei percorsi zigzaganti prima di miscelarle nei vortici spumeggianti alle foci. Ma la pianura era ed è ferita da altri fiumi, brevi di corso e di bacino, ma preziosi per la fecondità dei campi e, oltretutto, carichi di storia in grado di accendere i riflettori sulla sacralità delle nostre origini:Capodifiume, innanzitutto.
Sgorga alle radici del Calpazio, da cui una Madonna nera veglia e protegge uomini e campagne, reiterando nella ritualità cristiana il culto che fu di Era e di Persefone, dee di tenebre e luce, di morte e resurrezione e, soprattutto, di fecondità nell’alternarsi delle stagioni. Il Salso ne arricchisce la portata con quel salto di allegra e vociante libertà, che esplode all’argento della luce dopo un percorso di prigionia nel ventre oscuro e misterioso della terra.
Ci sono stato di recente. Nel dolce tramonto primavera erano ebbre di luce le anatre allo scialo libero dell’acqua nell’ansa del fiume, che fu santuario alla dea dei frutti. Il Salso gorgogliava sempre e rifrangeva gocce di diamanti nel breve salto ad “impetrar la trabe” con il suo carico di sali raccolti nel ventre della montagna: E m’era sottofondo allegro di memorie ad evocare e ritmare la storia che qui ha radici antiche. Nella assorta pace del tramonto, ai margini del fiume, ho riscoperto ed esaltato l’anima di fauno della mia terra con negli occhi il fasto delle ginestre che ingioiellavano i declivi accidentati della scalata al santuario della Madonna del Granato.
Poteva essere un parco fluviale pubblico di straordinaria valenza storica ed ambientale. E’ diventato una bella e gradevole struttura dell’accoglienza privata per la gioia degli amanti del relax e dei cultori della buona cucina. Resta, comunque, una risorsa da immettere nel circuito fecondo della fruizione turistica per una contrada che per quelli della mia generazione fu il primo saluto di vita e di commercio della pianura per quanti scendevano dalle colline dell’interno.
E lo sarebbe ancora di più se la vecchia cava dismessa, che dà il nome alla contrada (Petrale) e che, ferita bianca nel verde della collina, canta epopea di sudori e fatica, fosse utilizzata per “un progetto di rinaturalizzazione” con “melograneto” a sbalzo di terrazzamenti, punto di accoglienza con chiosco a degustazione dei derivati dei frutti e bacheche/legenda a recupero di storia e di arte nella prismaticità delle sue espressioni (Letteratura, pittura, artigianato), di una pianta, che è sacra al territorio.
Il sole che, alla distanza, è conflagrazione di cielo e mare, mi gonfia il cuore di emozioni da poesia e accende utopia a porte di futuro.
Il Sele a Nord la divideva dagli Etruschi, che governavano città potenti e prosperose, Picentia (Pontecagnano?) sui declivi dei monti e Marcinna (Vietri) su mare; e costituiva una naturale barriera contro possibili invasioni Il Solofrone a Sud, il cui corso pacioso, dalla portata limitata, consentiva facili trasmigrazioni/invasioni verso i promontori di Agropoli e Tresino. La cinta lussureggiante di boschi secolari alle spalle, era un ostacolo insormontabile dalle bellicose popolazioni italiche,prima, e lucane, poi, che cercavano uno sbocco al mare. Quei fiumi hanno acceso la fantasia dei poeti e dei viaggiatori colti, da Virgilio a Gatto e, passando per Ungaretti, il primo, di Bernardino Rota, umanista di buon livello, oltre che signore di feudi, il secondo. E sarebbe una bella ricerca, non priva di sorprese, la LETTERARIETÀ dei corsi d’acqua che hanno scandito storia e vita del territorio, raccogliendole alle radici dei monti ed arricchendole nei percorsi zigzaganti di pianura prima di miscelarle nei vortici spumeggianti alle foci. Ma la pianura era ed è ferita da altri fiumi, brevi di corso e di bacino, ma preziosi per la fecondità dei campi e, oltretutto, carichi di storia in grado di accendere i riflettori sulla sacralità delle nostre origini: Capodifiume, innanzitutto, di cui mi sono occupato spesso ,ma che merita ancora una volta una trattazione a parte Sgorga alle radici del Calpazio, da cui una Madonna nera veglia e protegge uomini e campagne, reiterandone nella ritualità cristiana il culto che fu di Era e Persefone, dee di tenebre e luce, di morte e vita e, soprattutto, dì fecondità nell’alternarsi delle stagioni. Il Salso ne arricchisce la portata con quel salto di allegra e vociante libertà, che esplode all’argento della luce dopo un percorso di prigionia nel ventre oscuro e misterioso della terra, E l’acqua fu vita ad alimento di energia per la vecchia centrale elettrica e forza motrice per le ruote del mulino. Oggi, come ieri, attraversa e feconda coltivi in operose contrade: Chiorbo, Cortigliano, Ponte Marmoreo, sotto i ponti di strade e ferrovie, lambisce, quasi a devota carezza, le antiche mura di Porta Giustizia, devia a gomito a conquista della popolosa Licinella, per, poi. correre spedito a mare, dopo un assaggio d’ombra nella pineta litoranea. Ripercorrere il fiume dalla foce alla sorgente, e viceversa, sarebbe un viaggio ricco di sorprese ad esplorazione di flora e fauna ripariali, a fruizione di campagne con masserie e case sparse, che hanno fatto la storia dell’agricoltura pestana e, quel che più conta, a penetrazione nel cuore antico palpitante di fascino e di mistero del territorio –
Ma ce ne sono anche altri, di corsi d’acqua, forse sconosciuti ai più. Quanti, ad esempio, sanno che ci fu un tempo, quelli della mia generazione ne hanno memoria, in cui al Cafasso brillava alla luce una sorgente limpida e freschissima, all’ombra di un pero selvatico? Oh, il ricordo lacerante di nostalgia della polla del “fiumarello“, dove al seguito della mamma impegnata nel lavoro carico di miasmi del tabacchificio mettevo in fresco melone e “mommola” per la sosta del povero “pranzo”! Oh i canti ariosi delle donne al lavatoio pubblico nell’assolato meriggio di un borgo oggi stravolto dalla speculazione edilizia da rapina e dall’incultura che fa scempio delle memorie! Oh, i miei voli di fantasia ad inseguire i vagoni carichi di frutta della Ditta Bonvicini! Li immaginavo a corsa rapida lungo i binari per il mondo e, invece, finivano a “La piccola” di Capaccio. Oggi i binari non conoscono viaggi di vagoni e non c’è più traccia, neppure, di quella sorgente, così come è scomparso il lavatoio distrutto o trafugato ed incorporato, forse, in proprietà privata nella logica del più becero abusivismo. Ma il fiume riemerge più giù, come mi suggerisce il mio giovane amico, Lucio Capo, collaboratore di questo giornale (potenza della forza della natura!). E, canale fecondo, punta a mare a Ponte di Ferro, dopo aver ricevuto le acque della “Lupata”, che sotto Porta Marina alimentava ed, in parte, alimenta ancora sorgenti per lavandaie, prima, e “tonzo” per bufale, poi. Ma c’è anche un altro fiumarello. Nasce alle radici di Torre di Mare e dopo un corso di poche diecine di metri si versa a mare. Se n’è perduta la traccia in quel labirinto di sconcio urbanistico nel polipaio di case e strade cieche e lidi nel segno dell’abusivismo selvaggio. Più giù, alla contrada Linora, nella proprietà Salati sorgeva e, nonostante tutto, vive ancora un’altra sorgente: “L’acqua dei Ranci“, che nel toponimo rievoca polle fresche e limpide, popolate di “granchi” (ranci), che nelle stagioni povere della mia infanzia furono carnoso e saporito nutrimento per i “chianaiuoli”, come, d’altronde, le rane dei fossati, che gracidavano il loro canto d’amore alle lucciole ubriache di profumi nelle processioni intermittenti a volo di campi biondi di spighe nelle sere di giugno e luglio prima di finire infilzate (le rane) in spiedi scoppiettanti su falò improvvisati a lacerar le tenebre. Oh, la dolce poesia georgica di una pianura non ancora imbastardita e violentata dalla dilapidazione di un enorme patrimonio ambientale, povera, forse, di risorse economiche, ma ricca di valori! È legittimo pensare che senza la ricchezza d’acqua i nostri Antichi Padri non avrebbero scelto questa pianura per fondarvi una città. L’acqua, quindi, fu, è stata ed è la nostra vita ed ha cambiato la nostra storia. Di qui la necessità di un recupero e di una valorizzazione dei nostri corsi d’acqua, riscoprendone ambiente e vita, flora e fauna in una ricerca rigorosa, che punti al censimento e alla catalogazione delle risorse ed all’analisi della trasformazione del paesaggio rurale attraverso i secoli e ne nobiliti ruolo e funzioni anche attraverso la sua LETTERARIETÀ. Io, nei limiti delle mie capacità, mi sono sforzato di scrivere questa pagina di memorie, sull’onda della nostalgia, per due ordini di motivi: 1) ricordare la mia “pestanità” vissuta al seguito della mamma nei lontani anni dell’infanzia di stenti e di sudori; 2) per ricordare ai candidati sindaci e non che nella pianura ci sono storie personali e collettive, tradizioni e valori che vanno recuperati ed esaltati, perché appartengono all’anima di una collettività molto vasta che comprende certamente gli abitanti della pianura, ma anche quelli delle colline della vasta kora. Vorrei ricordare innanzitutto a me stesso e, poi, agli altri che quella storia va riscritta insieme con il contributo di tutti e che quei valori vanno recuperati con l’orgoglio identitario di tutti i protagonisti. Sono sicuro che lo faranno i candidati ItaloVoza, Enzo Sica, Pasquale Marino. Marturanoe gli candidasti del territorio, che quel territorio lo conoscono e lo amano. Ho qualche dubbio che lo faccia l’avvocato Franco Alfieri, che quel territorio non lo conosce e, comunque, nel caso non lo ha metabolizzato nel profondo. Lo potrebbero e, forse, lo dovrebbero fare i ragazzi delle nostre scuole, ipotizzando e realizzando percorsi didattici ragionati. Anche per riscoprire storie e tradizioni. Lo dovrebbe fare, a ben altro livello, il Consorzio di Bonifica, deputato per compiti istituzionali alla mappatura delle sorgenti e dei corsi d’acqua non tanto e non solo in chiave agricola (cosa che suppongo già faccia), ma anche nel segno della cultura storico letteraria delle tradizioni e riscoprendo miti,leggende, poesia, narrativa, pittura, fotografia in feconda sinergia con le altre istituzioni locali anche per una qualificazione e diversificazione,, dell’offerta turistica All’avvocato Franco Alfieri, se posso,, darei un consiglio. Non non ricorra alle truppe cammellate di democristiana memoria, calate da Torchiara e da Agropoli, per fare “ammuina” all’inaugurazione di una sede elettorale a Capaccio Scalo Potrebbe essere una inutile manifestazione di arroganza di potere capace di suscitare rifiuto al tentativo malcelato di colonizzazione della storia, della cultura, delle tradizioni identitarie, di cui i capaccesi pestani vanno fieri ed orgogliosi. Giri in lungo e in largo il territorio della pianura e delle colline e si forzi di capire l’anima delle varie numerosissime contrade, ognuna delle quali ha una sua, storia, vanta reperti archeologici, preziosi, è legata a belle tradizioni; si documenti e misuri parole e atteggiamenti. Qualche espressione fuori posto o, semplicemente, superficiale potrebbe causare reazioni inaspettate sul piano elettorale,A Capaccio Paestum e nella sua vasta Kora, è opportuno e doveroso affrontare temi e proposte di Cultura, Cultura e, ancora, Cultura con la maiuscola…..Le fritture di pesce ed iniziative consimili sono sconsigliate ed oltretutto portano iella. Comunque, Auguri a tutti e… Buon Lavoro