Cappello del discorso:
Mi limito ad indicare le tappe storiche delle dominazioni, nel corso dei secoli, dai personaggi più illustri.
Greci V° sec. a. C.
Lucani 390 a.C. sottomisero e Velia;
Romani 276 a.C. Battaglia del Sele
Saraceni – Visigoti (410 d.C.)
Longobardi – 800 – 1000
Normanni – dal 1000 – 1100
Svevi: Federico II
Francesi: Guerra del Vespro 1282
Aragonesi: afflizione della tassa sui passi di montagna
Spagnoli 1734 al 1860
V° sec. a. C. Zenone a Parmenide:
“I cilentani appartengono alla loro terra come le piante che su questa terra germogliano e delle piante condividono i comportamenti. Come gli uliviessi crescono forti e rigogliosi e allo stesso modo offrono i loro frutti senza badare a chi li raccoglie. Spesso come gli ulivi subiscono violenza e offese e non si indignano più di tanto e sopportano quasi sempre in silenzio. Seguono i ritmii della natura e se la natura si mostra ostile, si adattano a riprendere la vita proprio laddove sono stati offesi.
Cicerone a Trebazio di Catona (68 a.C.)
Ho sognato la notte scorsa che i Romani avevano adottato istituzioni politiche simili alle vostre e che, come avviene da voi, le persone di maggiore considerazione erano i filosofi. Come da voi i giovani si esercitavano negli studi e nella ginnastica; coltivavano retorica e filosofia, poesia e dialettica. Alla fine del sogno a Roma era comparso anche il mare, allora ho capito di aver sognato non la mia, ma la tua città e ho sofferto per la lontananza di Roma dalla tua civiltà. Gli dei sanno quanto mi sarebbero di giovamento le passeggiate per i vostri boschi lussureggianti e lungo la spiaggia che dalla via Marina giunge al porto.
Federico II Imperatore – dopo la distruzione del Castello di Capaccio (1246) scriveva a Pier delle Vigne, suo segretario ed amico fidato: “Addolorato e affranto il tuo Re piange. Piange il destino che egli stesso ha decretato per la città che fu la pupilla dei suoi occhi e per altri villaggi segnati da identica sorte. Grande è la mia pena nel vedere la mirabile città ridotta a un ammasso di rovine. È singolare il destino dei cilentani: ha dato loro dimora in una terra unica e ineguagliabile, sublime e bellissima e poi li ha beffati volendo la loro terra di conquista. E su di essa si sono accaniti in tanti e d anche noi avemmo la nostra parte. Oggi, con il lutto, piango l’ingiustizia subita da un popolo che come la sua terra sopporta le piaghe che gli vengono inflitte e continua a vivere. Questo popolo deciderà da solo la sua sorte e noi che abbiamo agito contro di esso saremo ricordati come tiranni che si esercitavano ad umiliare una gente nobile e tranquilla”.
Antonio Galotti, collaboratore del canonico De Luca nel 1828, salvatosi con la fuga in Corsica, scrive a Giuseppe Mazzini:
«Stimatissimo e venerando maestro, progettammo una rivolta, io e il canonico De Luca, che salisse dal Cilento alla capitale per portare le istanze del popolo vero, quello che soffre da secoli le angherie dei Baroni al cospetto del tiranno. Il popolo aderì entusiasta. I metodi criminali della polizia borbonica e la reazione barbara del Generale del Carretto stroncarono i moti. Molti rivoluzionari furono presi e giustiziati, i villaggi saccheggiati. Il bosco fu raso al suolo. Credo di essere l’unico sopravvissuto. Il Borbone e i suoi sbirri non hanno distrutto l’animo cilentano, troppo nobile e rigoroso per essere annichilito da un Re incapace. E infine, maestro, mi chiede notizie della terra cilentana: la più bella che possa immaginare, la più seducente e piacevole regione che Iddio ha voluto creare: monti ricoperti di florida vegetazione, si intrecciano fra loro e, verso un mare che incantò i Greci, declinano formando fertili vallate, che i Cilentani coltivano come se fossero gli ultimi abitanti dell’Eden».
Carlo Pepoli da Bologna (1834) a Giacomo Leopardi a Napoli (ospite di Ranieri, ammalato).
Io penso che esiste, e ti è vicina, una terra nella quale il tuo spirito e ancor più il corpo potranno recuperare la forza perduta. A breve distanza dalla città che ti ospita è una regione interamente selvaggia: il Cilento. Qui è Elea con la sua antica scuola filosofica. Qui Cicerone e Catone amavano trascorrere periodi di riposo. E n’è testimonia con lo splendore dei suoi templi intatti; qui i nomi dei luoghi fanno rivivere i miti e gli eroi greci; qui morì il nocchiero di Enea, che diede il nome al borgo di Palinuro; qui è Licosa dove la sirena si lasciò morire.
Qui gli uomini e le donne vivono in una dimensione che pare a noi perduta: davvero è incorrotta l’umanità di quei luoghi. Forse questa gente non ha scoperto la vanità di tutte le cose, ma la loro allegria, la spensieratezza della loro vita sono di grande contagio e ti viene voglia di ridere quando loro ridono. Convinci il tuo ospite ad accompagnarti in un breve soggiorno in quella terra o, se egli si rifiuta, affrettati ad andarci da solo: la generosità di quella gente non richiede altri soccorsi ed io sono sicuro che come Giambattista Vico, che proprio in un villaggio cilentano attese ai suoi studi e vide gli eterni cicli della storia, anche tu trarresti da quella terra grande stimolo e grande vitalità e l’impegno tuo sulla strada della filosofia sarebbe meno gravoso.
Giambattista Vico (a Vatolla per 9 anni: alla fine del 1600) in una lezione al marchesino Rocca, dice tra l’altro:
Agli albori della storia il Cilento doveva essere, come in gran parte è ancora oggi, una terra ricca e fertile. I popoli che l’abitarono per primo ebbero l’opportunità di stabilirsi in diversi posti secondo le loro inclinazioni. Quei primi abitanti furono gli Enotri cosiddetti, sembra, per la loro maestria nella coltivazione della vite. Con l’arrivo dei Greci il Cilento conobbe la stagione aurea della sua storia. Per secoli sembrò che uomo e natura collaborassero ad unico e grande progetto. Al declino delle città greche seguì il sopraggiungere di popoli barbari. Così al Cilento fu imposto un regime crudele: gli uomini furono privati della libertà e la natura fu saccheggiata. E vennero i Romani ed anch’essi arrecarono danni a piante, animali e uomini. Poi vennero altri barbari: teste bionde e teste scure, che ancora distrussero e depredarono. Ma la natura si riprenderà quanto le è stato tolto. I Cilentani rimetteranno la storia in movimento, quando, liberi dagli usurpatori, vorranno sollevare il vessillo della libertà che rende civili gli uomini. I Cilentani recupereranno la dignità e i diritti perduti solo se sapranno riaprire la loro mente alla natura e riscattare i consigli. É il Cilento riavrà il suo popolo.