Su sollecitazione dell’amico direttore di questo giornale, Bartolo SCANDIZZO, mi accingo a fare una riflessione sulle montagne più significative del vasto territorio della nostra area protetta. D’altra parte la stessa legge istitutiva del Parco fa esplicito riferimento alle catene orografiche che ne contraddistinguono il territorio: Cervati, Gelbison, Alburni, Monte Stella e Monte Bulgheria sono i più emblematici, anche se non sono i soli. Una riflessione sul Parco, quindi, deve necessariamente fare riferimento a questi monti, la cui storia, d’altronde, è la storia stessa del Cilento. E, forse, proprio per questo, è opportuno partire dalla toponomastica, a cominciare dal termine “Cilento”. Alla luce di tutta la vasta saggistica storica, geografica, economica, urbanistica, oggi, comunemente, si intende per Cilento quel vasto territorio che va dal Sele fino a Sapri e dal corso del Tanagro fino al mare e che ingloba i territori di sei storiche comunità montane: Alburni, Calore Salernitano, Alento/Montestella, Gelbison, Lambro/Mingardo, Bussento.
A parte bisogna aggiungere, naturalmente, la comunità del Vallo d Diano per avere un quadro più completo del territorio interessato alla perimetrazione del “Parco Nazionale del Cilento, Vallo di Diano e Alburni”. Ovviamente, vanno inclusi anche i comuni costieri, che pur non facendo parte delle comunità montane, sono indiscutibilmente partecipi delle medesime radici e della stessa storia. L’argomento è vasto e logica vuole ed impone che, dopo una premessa introduttiva, si passi ad una riflessione più ricca ed articolata, ampiamente rappresentativa di storia geopolitica di ogni singola montagna mettendone in risalto anche le attività economiche, i centri abitati e le specificità ambientali. Ed è quello che farò come progetto di medio termine. L’imbarazzo/indecisione riguarda la scelta del tema unificante da trattare nella riflessione introduttiva. Ci ho riflettuto a lungo ed alla fine ho optato per SACRALITÀ, che lega tra loro almeno sette delle montagne cilentane, sulle cui cime è situato un Santuario Mariano. È un tema che è stato trattato da storici ed etno-antropologi autorevoli nel corso dei secoli. Ed io stesso l’ho affrontato da giornalista con la vocazione della letteratura di viaggio. Lo faccio ancora una volta con il rischio di essere ripetitivo. L’immaginario popolare le ha ribattezzate “Le sette sorelle”.
Sono le sette Madonne che dominano e proteggono il territorio dalle alture dei santuari da Nord a Sud, dalla costa verso l’interno.
Dal Calpazio sfuma Paestum a gloria di memorie. E sa di Grecia il mare che traluce. Il sole del tramonto rifrange bagliori alle vetrate dell’antica cattedrale, solida e possente sul breve pianoro del monte. E la Madonna a mostra di granato nella conca della mano, contende gara ad Era, che fu feconda di parti e latte a poppute matrone greche e romane. Giù il fiume che zampilla dal cuore del monte assicura fecondità alla piana nel trionfo di frutteti in fiore, di carciofeti a geometria di solchi, di fragoleti a tingere di rosso il bianco delle serre.
È il primo dei santuari mariani al di là del Sele, a testimonianza di trasmigrazione del culto pagano nella liturgia cristiana.
Il Monte Stella è un loggiato aperto al mare che ricanta a nenia di risacca la tormentata storia d’amore e morte della ninfa Leucosia gabbata dall’astuto Ulisse. Dall’altro lato è ricamo di coltivi a scivolo di fiume: l’Alento sacro alla mia terra. In cima veglia, ariosa, una minuscola cappella, ferita dalle antenne del progresso (Che vergogna quelle postazioni militari ad incursione di sagrato!). Fu meta di pellegrinaggi a devoto ringraziamento per grazie ricevute e segreta speranza di miracoli attesi dal popolo del Cilento Antico, che trova in Perdifumo il suo punto di orientamento. Ebbri di festa e sazi di raccolti vi si recano ancora il 15 agosto i devoti alla ressa di conquista di Madonna a sorriso benedicente.
A luglio, nella sera che s’annotta, la brezza sbriglia il bigio degli ulivi e flebile ondeggia a fiamme di candele la processione d’ombre a ricamare tratturo sterrato di preghiera. La Madonna del Carmine, mite pronuba di grazie, veglia su Velia, che fu un tempo regno di Minerva, algida guida a vergini guerriere. Dalla montagna di Catona la piana ostenta fecondità per le acque del fiume che scorre sonnolento alla foce, un tempo brulicante di traffici e commerci dei Porti Velini. Ed il pensiero corre a Parmenide accigliato ed orgoglioso di Pensiero e a Zenone bello come un dio.
Di fronte la Civitella occhieggia tra i castagni, votati al saccheggio dei virgulti destinati a croci benedette per propiziare case e campagne. Il “frurion”, avamposto dei Lucani, sottovalutato esempio di archeologia minore, festona sole tenero ai macigni che eternano la grande storia di Elea, che vi disegnò le Vie del Mediterraneo a penetrazione verso l’interno a scambio di prodotti tra terra e mare..
Di rimpetto il Fiume Freddo, all’ombra dei faggeti secolari, rotola a sbalzi a levigare letti ciottolosi. Brilla l’argento a fiotti di fontana a ristoro di pellegrini stanchi. S’impiglia il canto a reti di boscaglia e rauco si spegne al verde delle forre. La cima è conquista di Madonna Nera a memoria di monaci d’Oriente.
Il Gelbison, montagna sacra, è spianata aperta all’infinito, donde il Cilento mostra la sua storia di case e chiese al verde di campagne in fuga accidentata verso il mare.
Sul Cervati, a guardia della Neve, la Madonna, contesa da Sanza e da Piaggine; a mezza estate le due contrade la venerano insieme ad allegro bivacco per tutta la notte in gara a girotondo con le stelle sul pianoro all’abbraccio con il cielo. D’inverno il lupo ulula alla luna a veglia preoccupata di pastori. Dai 2000 metri d’altitudine è scenario da brividi di piacere a interiorizzare monti e mari fino alle Eolie e all’Etna fumanti.
Da San Giovanni a Piro è falce di luna il Golfo che s’inarca a conquista ariosa di colline con torri, chiese, case e cimiteri ad arabesco allegro di campagne. Policastro, superba di memorie, vara cattedrale e castello a mare aperto e tende la mano devota a Pietrasanta che squilla bianca a cupola di cielo. Qui, nel Santuario esposto a vento e mare, una Madonna, a lucido di malta, parla di pietra dura e d’acqua chiara al culto primigenio della vita.
I sette santuari mariani (Granato, Stella, Civitella, Catona di Ascea, della Neve sul Cervati, Pietrasanta, Gelbison) narrano straordinarie pagine di storia religiosa, civile e di costume, che hanno ritmato l’evolversi dei secoli nel Cilento. Ma accendono anche curiosità di contaminazione di culti pagani che dalla mitologia greco/latina trasmigra nella ritualità cristiana. Senza contare anche i culti preistorici, primigeni della vita delle popolazioni dell’interno, a cominciare da quelle lucane, di cui l’ANTECE a Costa Palomba, sul pianoro degli Alburni, nel delirio della luce, è un esempio unico e straordinario. Saranno questi i temi di viaggio a riscoperta dei monti del Parco che mi riprometto di trattare nelle prossime settimane. È un itinerario bello ed avvicente, almeno per me. Ma spero tanto anche per i lettori.