Parco del Cilento: tutela del territorio e sviluppo o autoconservazione dell’incuria? ORESTE MOTTOLA Caro direttore Scandizzo, mi è gradito inoltrarti qualche considerazione sul Parco del Cilento. L’occasione mi è stata data dall’aver seguito il tentativo di un’altra istituzione cilentana che invano ha cercato di coinvolgere in un dibattito pubblico il direttore De Vita e il presidente Troiano. L’idea era quella di avere una piattaforma di sviluppo, e relative conseguenti azioni, condivise. Interrogati, i due autorevoli referenti non hanno ritenuto di dover articolare una risposta, nemmeno di ipocrita cortesia. La circostanza mi ha non poco contrariato. L’intento costruttivo e nient’affatto polemico ci distanziava anni luce dai cosiddetti “briganti” che anche tu hai avuto occasione di incrociare! La vicenda mi ha fatto capire che le cose che non vanno sono troppe e a noi persone di buona volontà l’adesione a azioni di profondo cambiamento s’impone come dovere! Ricapitolando: il Parco Nazionale del Cilento e Vallo di Diano è stato istituito nel 1991 con la legge quadro sulle aree protette, si estende per una superficie di 181.048 ettari, comprende 8 Comunità Montane e oltre 80 Comuni. Ad oltre venti anni dalla nascita, ai cilentani non è ancora chiaro quale sia concretamente il ruolo del Parco. Come si legge nello statuto, gli obiettivi del Parco sono: 1) Tutelare, valorizzare ed estendere le caratteristiche di naturalità, integrità territoriale ed ambientale, salvaguardare le aree suscettibili di alterazione ed i sistemi di specifico interesse naturalistico. Nel 2013 infatti, sono stati spesi 315 mila euro per la riqualificazione ambientale e la manutenzione di beni di proprietà dell’Ente. Altri 268 mila euro sono stati utilizzati per la demolizione di edifici abusivi nel comune di Montecorice, la cui costruzione è avvenuta chiaramente di notte, con le autorità di vigilanza bendate e l’Ente Parco voltato di spalle o troppo impegnato nell’attività di tutela del territorio. 2) Valorizzare il territorio e le produzioni locali, anche attraverso la partecipazione a fiere, mostre ed iniziative a carattere promozionale. Peccato che all’Area promozione, al netto degli stipendi e degli acquisti di beni e servizi, venga destinata poco più del 5% della spesa complessiva dell’Ente. 3) Migliorare la qualità della vita all’interno del Parco e valorizzare le specificità biogenetiche della flora e della fauna. E’ quanto meno paradossale che vengano stanziati 200 mila euro per interventi di prevenzione dei danni da fauna e contemporaneamente vengano spesi 192 mila euro per rimborsare i danni provocati dalla fauna stessa. Dovrebbero provare a smetterla di fare prevenzione. 4) Difendere e ripristinare gli equilibri idraulici ed idro-geologici. L’elevato impegno profuso in tal senso, ha fatto sì che il Cilento diventasse famoso per l’erosione e l’arretramento dei litorali, ovviamente dovute allo scioglimento dei ghiacciai e non al deficit di afflusso di detriti verso il mare. Per non parlare degli effetti sul microclima, in termini di umidità, pioggia e nebbia. E meno male che le promesse di Caldoro per nuove pista da sci sul Cervati si siano dimostrate inconsistenti. 5) Favorire, riorganizzare ed ottimizzare le attività economiche, in particolare quelle agricole, zootecniche, forestali, turistiche, con particolare riferimento alla naturalità e alla biodiversità. Promuovere attività di ricerca scientifica e studi di educazione ambientale nonché concernenti la crescita culturale delle popolazioni residenti. Tant’è che nell’ottica della riorganizzazione economica e della ricerca scientifica, dal 24 aprile 2013 gli uffici del Parco sono stati spostati nel “Centro Studi e Ricerche sulla Biodiversità”, una struttura di nuova realizzazione, nata per essere un vero e proprio campus dotato di laboratori, biblioteche e museo delle specie, ma che è divenuta la sede dell’attività amministrativa dell’Ente Parco, per la gioia di ricercatori e studenti, che finalmente avranno occasione di studiare da vicino il comportamento di una specie molto particolare: il politicus e il faccendieres cilentanus.* Quello che è sicuramente chiaro nella testa di tutti i cilentani è che il Parco da potenziale volano della crescita e dello sviluppo di un territorio incontaminato e selvaggio, è diventato probabilmente una delle cause dello spopolamento a cui stiamo assistendo. La duplicazione di funzioni, il moltiplicarsi di adempimenti e di pareri vincolanti, spesso troppo soggettivi, ed il conseguente allungamento dell’iter burocratico per il rilascio di autorizzazioni, non ha fatto altro che scoraggiare ulteriormente le già modeste iniziative imprenditoriali. Quello che doveva essere un mezzo per raggiungere lo sviluppo si è per l’ennesima volta dimostrato essere il fine a cui tendere, la poltrona a cui ambire, l’ente da conquistare per incrementare, con un’altra comparsa, il teatrino o meglio, il circo della politica. La protezione e la salvaguardia del territorio devono sicuramente essere i punti cardine dell’azione di governo locale, ma se tale potere finisce nelle mani sbagliate, la protezione diventa un ostacolo, la salvaguardia un dito dietro cui nascondere l’incompetenza e la mancanza di una visione di lungo periodo. La tutela diviene autoconservazione e chiusura al cambiamento. Nel contesto di crisi generale dell’economia che stiamo attraversando, proprio la valorizzazione del territorio e delle risorse ambientali nonché la riscoperta dell’agricoltura potrebbero trainare la ricrescita economica. Per un territorio che da sempre storicamente ha basato la propria esistenza sulla produzione agricola e sui suoi derivati, potrebbe rivelarsi di vitale importanza avere un Ente Parco forte, solido e concreto su cui poter fare affidamento. Avere un ente che si faccia portatore e promotore delle tipicità locali, sotto il cui ombrello poter raccogliere più prodotti e più produttori, potrebbe essere l’unica occasione di ripresa economica e l’ultima alternativa ad un veloce inesorabile declino. Chi condivida tutto ciò ha il dovere dell’azione e non della conservazione di uno stato di cose presenti che sempre più gridano vendetta! “Surgite bona gente”, gridavano i nostri durante i moti cilentani dell’Ottocento.
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