Paestum è tanti ettari di stelle appuntite, un campo di fiabe e di viole dove s’incontrano nuove etnie e s’amano gli dei senza peccato. E’ dove ho deciso di vivere; a dispetto dei santi, la mia officina è aperta a tute le correnti di filosofia. A Paestum ho toccato terra con la mia nave di balocchi dell’infanzia, da qui ogni tanto salpo per altri orizzonti in cerca di fortuna ma i miei pensieri ritornavano sempre qui. Sui temi di Paestum il mio percorso s’inalbera, s’inerpica, si traduce in filastrocche per bambini dove c’è mio padre, l’albero di gelso dell’infanzia, il treno che mi porta per ignote destinazioni dell’Italia. A Paestum parto e ritorno e coltivo l’orto delle mie sconfitte ma non mi arrendo. Le onde dell’oblio cancellano i miei scritti, il vento sradica impietoso i miei progetti, uomini senza volto, a volto scoperto, con le mani in pasta, distruggono le miei idee che clonano per i loro affari. Ogni giorno ricompongo un’altra storia del luogo ma il pubblico è altrove, numeroso, e batte le mani e s’inchina ai padroni dell’Estate, ai festival di chi comanda il vapore.
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