di Veronica Gatta La “Dieta Mediterranea”, si sa, è un modello alimentare studiato, per la prima volta in maniera sistematica, dall’epidemiologo e fisiologo statunitense Ancel Keys. La Dieta Mediterranea è uno stile di vita e il Cilento (e Pioppi in particolar modo) ne vanta la paternità. Ma oggi possiamo dire che la nostra alimentazione sia sana come quella prescritta dal professor Keys nel suo celebre libro “How to eat well and stay well. The Mediterranean way”? Purtroppo no! Il modello alimentare italiano (e cilentano) di oggi conserva solo pochi aspetti della vera dieta mediterranea che si caratterizzava per una alimentazione composta da cibi naturali, senza additivi e/o conservanti chimici abbinata ad uno stile di vita fisicamente attivo e frugale. Fatta eccezione per alcuni prodotti, come la carne di maiale, le conserve di pomodori, la frutta “trasformata” in marmellate… la maggior parte degli alimenti veniva consumata “fresca”. Ma il rispetto della stagionalità dei cibi non è l’unica differenza tra la Dieta Mediterranea studiata da Keys e la nostra alimentazione. Eta Meta Research ha condotto uno studio per Federsalus intervistando esperti di nutrizione (dietologi, nutrizionisti, dietisti) ed esperti di tecnologie e biotecnologie alimentari. Da tale studio è emerso che gli alimenti della dieta mediterranea odierna hanno perso il 50% delle proprietà nutritive. Ad essere sotto accusa sono soprattutto la frutta e la verdura, ma anche gli altri “ingredienti” della dieta mediterranea non sono più quelli di un tempo. Sono meno ricchi di vitamine, sali minerali, aminoacidi e proteine. Le cause sono da ricercare nei procedimenti di produzione e conservazione dei prodotti importati da tutte le parti del mondo, la richiesta di prodotti fuori dalla loro naturale stazione e, non da ultimo, l’inquinamento. Ne consegue che cereali, legumi, carne, pesce, latte, uova, olio, frutta e verdure, tutti gli alimenti base della Dieta Mediterranea sono ben diversi da quelli che consumavano i nostri nonni. “I moderni sistemi di produzione da un lato e i mutamenti ambientali dall’altro hanno portato a notevoli modificazioni nei confronti di quello che ogni giorno mettiamo sulle nostre tavole. Sicuramente i prodotti hanno un aspetto migliore rispetto a quanto accadeva solo 20 anni fa – afferma Andrea Strata, Professore di nutrizione clinica all’Università di Parma – ma al loro interno hanno perso più del 50% in termini di principi nutrizionali”. Vediamo più da vicino quali sono gli alimenti che, per gli esperti, hanno subito una maggior degradazione in termini nutritivi rispetto ad un tempo: Al primo posto, naturalmente, sostiene il 71%, la perdita degli elementi nutritivi di frutta e verdura, seguite da farine e cereali (49%) e “prodotti lavorati” (35%). Le cause di questa perdita di elementi nutritivi? Numerose e tutte dovute all’uomo. Oltre alle cause già citate (richiesta di prodotti fuori dalla loro naturale stagione e inquinamento), ben il 38% degli intervistati parla di “inadeguate condizioni di trasporto e conservazione”: i prodotti che provengono dall’altra parte del mondo vengono colti quando ancora non sono maturi, vengono trattati per resistere a lunghi viaggi e non sempre vengono conservati alle temperature ottimali. Ad influire, poi, soprattutto per quanto riguarda i prodotti “lavorati”, sono proprio la loro preparazione e gli ingredienti usati (33%) . Tutto questo, naturalmente, non vuol dire che i prodotti che oggi entrano nelle case degli italiani siano dannosi per la salute, precisa il 79% degli esperti intervistati, anzi, sotto certi aspetti, proprio grazie alle moderne tecnologie alimentari sono molto più controllati. La dieta mediterranea, ad ogni modo, resta lo stile di vita e il modello alimentare per eccellenza. Bisogna però tener conto che i parametri e le tabelle di riferimento si basano sulle necessità caloriche di un contadino degli anni ’50. Per questo motivo è necessario rivedere le quantità e i rapporti tra calorie, vitamine, fibre e sali minerali. Secondo il 38% degli esperti, infatti, il tipo di alimentazione proposto dalla dieta mediterranea andrebbe rivisto nelle “dosi” di cibo assunte, anche considerando la vita sedentaria che caratterizza la maggior parte degli italiani, intervenendo quindi sull’apporto di carboidrati e di lipidi. Sicuramente, aggiunge il 31%, durante quei periodi dell’anno in cui l’organismo è sottoposto a maggiori stress diviene necessario integrare le vitamine, i sali e gli altri elementi assunti attraverso i cibi. E se è sicuramente poco percorribile la strada dell’orticello privato e auto gestito, che rappresenterebbe l’unica soluzione, anche se parziale, è molto importante la scelta di cosa acquistare, preferendo i prodotti nazionali nella loro naturale stagione (16%) e la conservazione dei cibi (11%). Ecco allora che da Federsalus arrivano 5 semplici regole per rivedere e attualizzare, adattandola alle nuove esigenze ed ai moderni stili di vita, la dieta mediterranea. La prima regola: regolare l’assunzione di carboidrati sulla base della propria reale attività fisica e dello stile di vita. Le tabelle di riferimento della dieta mediterranea risalgono ad un periodo dove la vita era molto meno sedentaria: oggi può essere necessario rivedere il numero di volte alla settimana in cui ci si concede un piatto di pasta. La seconda regola: incrementare il consumo di frutta e verdura, consumo non solo in diminuzione, ma anche caratterizzato da una minor quantità di principi nutritivi necessari all’organismo. Fondamentale quindi consumare in quantità maggiori questi cibi e non solo, come accade sempre più spesso, nel contesto del pasto serale. La terza regola: aiutare il proprio organismo tramite l’integrazione di principi nutritivi. Soprattutto in determinati periodi dell’anno, come quello che segna l’arrivo del freddo e dell’influenza, può essere di valido aiuto al proprio sistema immunitario assumere integratori di vitamine, così come di sali minerali durante i periodi più caldi. La quarta regola: scegliere, per quanto possibile, cibi dove l’utilizzo di pesticidi sia stata minima e maturati sulla pianta. In questo modo non solo si riduce la quantità di elementi potenzialmente nocivi che si ingeriscono, ma si fronteggia anche la perdita in termini di sostanze “buone” e utili all’organismo, ecco perché vanno sempre preferiti prodotti provenienti dall’Italia, dove i controlli e l’attenzione nella coltivazione e produzione sono sempre ai massimi livelli. La quinta regola: per quanto riguarda i prodotti lavorati, informarsi bene sugli ingredienti che li compongono e sulla loro preparazione. Dalla qualità delle farine ai metodi di preparazione: tutti elementi da verificare per essere sicuri che ciò che pensiamo di mangiare corrisponda alla realtà.
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