Nella casa Tardio esisteva e viveva solo l’aura di lui, coperta da silenzi di ogni accezione. Silenzio affetto. Silenzio vanto. Silenzio dolore. Silenzio tribunali. Silenzio lontananza fisica: Favignana, dove è morto, era estremo lembo del Regno d’Italia. Eppure ogni molecola dei muri, delle tre generazioni vissute in quella casa dopo di lui, era impregnata del suo sguardo. Inutile chiedere a nonna Donata, quand’ero bambina, chi fosse quel signore con gli occhi piccoli e neri, dipinto in giacca e cravatta, che ci guardava dal quadro, proprio di fronte al letto.
Una delle stranezze della vita è quella di seppellire nella memoria cose importanti, tenerle in un cantuccio con la certezza che stanno lì, una proprietà e un DNA di cui non si vuole scoprire l’essenza, dapprima perché si è ragazzini influenzati dalle etichette, dalla storia raccontata sui libri, poi perché da giovani e da adulti hanno priorità le esigenze del presente, del futuro. Si accumula ancora polvere sullo scrigno.
Così di un antenato famoso per gli estranei, per gli studiosi di storia e di brigantaggio nel Cilento, nella casa Tardio esisteva e viveva solo l’aura di lui, coperta da silenzi di ogni accezione. Silenzio affetto. Silenzio vanto. Silenzio dolore. Silenzio tribunali. Silenzio lontananza fisica: Favignana, dove è morto, era il lembo estremo del Regno d’Italia. Eppure ogni molecola dei muri, delle generazioni vissute dopo di lui in quella casa, era impregnata del suo sguardo, della sua espressione dominante e indecifrabile.
Inutile chiedere a nonna Donata, quand’ero bambina, chi fosse quel signore con gli occhi piccoli e neri, dipinto in giacca e cravatta, che ci guardava dal quadro, proprio di fronte al letto.
Di lui hanno scritto studiosi e altri scrivono su internet o su carta, riassumendone le gesta, ripercorrendo la storia di un Cilento di cui era protagonista, nel 1860: a leggere l’interesse di altri, io mi sentivo orgogliosa, da un lato, dall’altro colpevole di non aver onorato lo sguardo che, entro la cornice, dal muro, sembrava chiedere qualcosa già da allora, quand’ero piccola. Nemmeno avevo ascoltato poi il messaggio segreto di un libro che, dopo il funerale di nonna, era passato dalle mani di mia madre alle mie, come un testamento, un tesoro da custodire.
Lo era, perché in quelle pagine porose trovai perfino la scrittura, appunti autografi di Giuseppe Tardio, e da lì ho preso a far luce sulla sua vita, dall’infanzia alla fine dolorosa, con la lente dei documenti storici dell’Archivio di Stato, ma soprattutto con la lente dell’introspezione e dell’affetto familiare. Volevo indagare l’anima, il carattere di un giovane che da brillante avvocato si ritrovò brigante nelle grotte del Cervati, a patire fame e freddo coi suoi compagni.
Tutti conoscono il suo primo proclama letto a Futani, in cui esprimeva con bellissime parole l’attaccamento alla terra del Cilento, incitava la popolazione a sollevarsi contro “il fazioso dispotismo”, a reagire ai soprusi dei piemontesi, occupanti, usurpatori più che nuovi governanti. È inutile interrogarsi se a prevalere sull’ideale politico fosse, per la gente che lo acclamava, la disperazione, la miseria che si era aggiunta alla miseria, lo strappo dei figli maschi obbligati alla leva sotto il nuovo esercito. Anche il fratello di Giuseppe, il padre di mio nonno, dopo un primo tentativo di sottrarsi, fu costretto ad andar militare a Genova.
Per la famiglia Tardio l’Unità d’Italia significò tragedia: decenni di paure, dolori, spese e vergogne di un lunghissimo processo, fili sottilissimi di speranze di salvare quel figlio dalla morte criminale, con l’unica, perenne domanda Perché.
Me lo chiedevo anch’io, prima di scorrere i fascicoli del suo processo, pagine e pagine custodite all’Archivio di Stato, leggendo le descrizioni, i gesti, i tratti fisici, nelle testimonianze e nelle confessioni, nelle deposizioni dei briganti ex compagni, dei cittadini, dei ricchi liberali voltagabbana. Imparando tante cose di quell’epoca, che sono le stesse di oggi.
Spero di poter trasferire ai lettori ciò che è uscito dal mio lavoro, l’immagine dell’uomo e del personaggio, così come l’ho descritto in un romanzo storico. Era quel che intuiva mia madre, quando mi consegnò quel libro: Prendilo tu, che ti piace leggere, ma mi piace pensare che era lo stesso Giuseppe a consegnarmelo, libro testimone dei suoi studi, di ideali di giustizia, ambizione e dissenso: valori umani, che non sono morti nel rettangolo triste della sua sepoltura.