Il popolo entusiasta ascoltava volentieri Gesù perché “aveva parole di vita eterna”, invece le autorità civili e religiose diffidavano di Lui. Chiuse nel loro saccente senso di superiorità, non potevano assolutamente riconoscere nel figlio di un falegname la pretesa di parlare in nome di Dio. Lo chiamavano Maestro, perciò, quale piacere poterlo cogliere in fallo. A Gesù non sfuggiva il tendenzioso intento nelle loro domande mentre il loro risentimento aumentava perché le sue sapienti risposte chiudevano la bocca a tanti nemici dichiarati, come era capitato altre volte a farisei, sadducei ed erodiani.
Per tentare ancora una volta di metterlo in difficoltà, costoro gli propongono di dirimere una spinosa questione data la palese difficoltà per l’uomo comune di potersi districare tra le prescrizioni derivate dalla legge mosaica: ben 613 precetti, dei quali 365 – quanti i giorni dell’anno – considerati lievi e formulati in negativo e 248 – quanti gli organi del corpo umano – ritenuti gravi e per questo un dovere. Quindi chiedono: “quale è il grande comandamento?”
Gesù non si sottrae e va subito all’essenziale rispondendo: “Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. Questo è il più grande e il primo dei comandamenti. E il secondo è simile al primo: Amerai il prossimo tuo come te stesso. Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti”.
Ecco la radicale differenza dai rabbini per i quali, invece, il grande comandamento era santificare il Sabato.
Nella risposta di Gesù vi è anche una implicita ironia, quasi a dire: la mia non è una formula nuova, infatti nel Deuteronomio si legge “Tu amerai Jaweh tuo Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutte le tue forze”. E’ un amore totalizzante se si considera che il termine cuore nella Bibbia indica l’insieme della persona, coscienza e capacità decisionale, mentre anima corrisponde a vita, esistenza quotidiana, continuo porsi di fronte al bene o al male. I dottori della legge conoscevano anche la seconda parte contenuta nel Levitico. Gesù affianca l’identificazione tra l’amore di Dio e quello per il prossimo e la prima lettura della liturgia della Parola della scorsa domenica esemplifica praticamente tale identità. La legge mosaica regolava i rapporti col prossimo, specialmente chi era nel bisogno: il forestiero, l’orfano, la vedova, il povero. L’amore di Dio si rende visibile proprio nell’amore verso queste persone.
Gesù spiazza i rabbini: non cita le “dieci parole”, colloca al centro del Vangelo il motore stesso della vita col suo “amerai”. Questo suo pressante invito è una profezia di felicità coniugata al futuro perché è un’azione mai conclusa. Infatti, amare non è un dovere, ma una necessità per poter vivere; destino dell’umanità, quindi, è che amerà. Gesù ci crede e, fidandosi, fonda salvezza e felicità del mondo sull’amore perché amare Dio con tutto il cuore dilata la capacità di amare gli uomini, amore intelligente, praticato con tutta la mente per capire di più e più a fondo il segreto della vita.
Ora la vera novità e che, posti insieme Dio e prossimo, il comandamento diventa unico. Ne deriva la necessità di amare come se stessi partecipando al prodigio di questa scintilla divina perché se non si sa amare veramente se stessi non si è in grado di amare nessuno. Amare senza limiti Dio significa possedere una conoscenza vissuta come ascolto e realizzazione della sua volontà; su questa base si fonda l’amore per il prossimo, non una teoria o un sentimento romantico; infatti esso implica fare “agli altri ciò che vuoi sia fatto a te”. Da questi due dipendono la Legge e i Profeti, “Non c’è altro comandamento più grande” perché chi non sa ascoltare il fratello che vede, non può ascoltare Dio che non vede (1Gv 4,20).
Quindi, “Tu amerai” è la nostra vocazione. Agostino la sintetizza così: “L’amore di Dio è primo nell’ordine dei precetti, l’amore del prossimo è primo nell’ordine della prassi (…) Amando il prossimo rendi puro il tuo sguardo per poter vedere Dio”, modalità scandita dall’invito di Gesù: “Amatevi gli uni gli altri come io vi ho amati”. Questo suo desiderio non implica una simmetria di azione e di sentimenti, ma è l’esaltazione di un amore diffusivo che abilita ad amare gli altri del suo amore, fino a dare la vita.
Qualche razionalista immerso nella società liquida potrebbe obbiettare: l’amore comandamento è ancora amore? Non deve nascere spontaneamente per essere libero?
Sono quesiti che dimostrano la totale ignoranza della Sacra Scrittura. Infatti la Bibbia precisa che quando si tratta di amare é sempre Dio a prendere l’iniziativa. A questo proposito Giovanni asserisce: “non è che noi abbiamo amato Dio, ma è Lui che ci ha amati e ha mandato suo Figlio”. Perciò questo comandamento non è come gli altri precetti: noi siamo incapaci di amare Dio e prossimo se in precedenza non siamo stati inondati interiormente dall’amore che Dio nutre per l’uomo. E’ un comandamento divenuto dolce necessità, seme sparso nei meandri della storia per riscoprire, riaccendere, rafforzare la speranza. L’amore di Cristo morto e risuscitato, diffuso nei nostri cuori dallo Spirito Santo al momento del battesimo, è un bisogno irresistibile. Perciò, la nostra vita è riassunta dalle ultime parole di Gesù prima della sua passione: “Dimorate nell’amore”.