I pesticidi sono artefatti. Non c’è alcunché da fare. Non è come annusare un bel fiore petaloso, o accarezzare erba verde, o, perché no, un bicchiere di vetro. E per artefatto intendo tutto ciò che è stato concettuosamente e meccanicamente ritrovato da noi umani (per meglio dire, attraverso pensieri che partono solo dalla testa, e non da tutto il corpo), senza che quindi rispondesse a pieno a un nostro reale bisogno o necessità interiore; sono scelte che vengono fatte quando, la nostra coscienza, non è del tutto presente nell’atto stesso che ci vede come i soli e veri protagonisti. E come tutto ciò che non è bello, anche i pesticidi nocciono alla salute (presa nel suo senso più largo) o al benessere umano: possiamo entrarvi in contatto in tre modi, per inalazione, ingestione, o assorbimento cutaneo. E vi possono essere effetti negativi sia di tipo cronico, sia di tipo acuto: fra i primi, cancerogeni (quindi provocano il cancro o n’aumentano la frequenza), mutagenici (quindi provocano difetti genetici ereditari), nervosi (per esempio, Alzheimer; Parkinson; Sclerosi Laterale Amiotrofica, terribile malattia); fra i secondi, nausea, vomito, diarrea, ipotensione, broncospasmo, disturbi respiratori, inibizione dell’impulso nervoso.
Proprio per contrastare l’uso massiccio, e soprattutto ingiustificato (si tendeva a farne un uso sproposito, così come si pensa che cinquecento pillole facciano maggiore effetto di una o due), e per di più poco accorto (perché le norme di sicurezza venivano tralasciate) di pesticidi, dal 20 gennaio 2009 è entrato in vigore il regolamento CLP (o regolamento: EC 1272/2008), per la classificazione, l’imballaggio e l’etichettatura di sostanze e miscele, perciò Classification Labelling and Packaging of substances and mixtures, che così si è andato a sostituire alle due precedenti direttive: direttiva 67/548/CEE (Sostanze Pericolose); direttiva 1999/45/CE (Preparati pericolosi).
Per esempio, durante il trattamento, le norme ora sono: usare sempre i dispositivi di protezione individuale; non trattare in fioritura, o durante la pioggia, o nelle ore molto calde o con vento; non mangiare, bere, o fumare durante l’intervento; non trattare in prossimità di corsi d’acqua; impiegare il prodotto solo nelle dosi, nei tempi, e sulle colture autorizzate in etichetta.
Ma cosa dire sulle tecniche per le culture biologiche? Rischi per la salute dell’essere umano: zero. Impatto ambientale: minimo. Ed ora che anche la più amata fanciulla dei nostri tempi, ossia la moda, ha baciato l’alimentazione biologica e le ha fatto l’occhiolino, si può parlare di quanto stiano divenendo redditizie appunto le produzioni biologiche. Perché la gente è sempre più stufa di mangiare pagando poco, però male. Stufa dei coloranti, degli edulcoranti, dei conservanti e dei prodotti non biologici, che fanno venire i crampi all’intestino e che, secondo la scienza, sono causa di tutte queste nuove malattie intestinali di cui si discute sempre più, come la celiachia. La nuova alimentazione è quella che si avvicina più possibile al kilometro zero.
L’essenza di queste tecniche è usare il meno possibile la chimica, a favore di ciò che è fisico e meccanico. Come a esempio il pirodiserbo. Tecnica di controllo delle infestanti, che utilizza dei bruciatori.
O, ad esempio, la messa in campo di insetti utili, oppure favorendo il loro naturale sviluppo.