Un pomeriggio di qualche anno fa mi arrivò una telefonata a “Unico”. Preamboli zero: “Oreste, apprezzo il vostro lavoro e vi voglio sostenere donandovi un po’ di copie del mio libro sulla bonifica idraulica nel Cilento. Fatene l’uso che volete. Organizzati per venirle a ritirare da casa mia”. Le accludemmo al giornale e circolare per le edicole. Presso l’allora Bcc di Altavilla tenemmo una presentazione. In questo atto c’era lo stile di Mimì Chieffallo, che qualche giorno fa ci ha lasciati. Senza fronzoli e diretto, generosità personale illimitata al servizio della cultura. All’incontro diretto ti specchiavi nei suoi occhiali spessi a fondo di bottiglia e poi colpiva la sua voce particolare. Non era cilentano Domenico Chieffallo, ma di queste terre ha subito la malìa, da studioso ne colse la nobiltà e gli affanni. Si i è dato da fare, soprattutto con i libri e le conferenze, a sciogliere i nodi plurisecolari e a stimolare nei più giovani un orgoglio dell’appartenenza che andasse oltre il folclore sempliciotto di vino e tarantelle e le immagini da cartolina. Tutta sua era la battaglia affinché il dialetto cilentano venisse insegnato nelle nostre scuole e avesse il riconoscimento ufficiale di lingua.
SCOPRÌ LE BRIGANTESSE PRIMA DI TERESA DE SIO
Mimì, come chiamato da tutti, indagò sul brigantaggio – scoprendo e valorizzando le figure delle brigantesse, prima di Teresa De Sio – e le antiche bonifiche idrauliche, l’emigrazione e i confinati politici. Argomenti che spesso non fanno audience. Ora – che gli sia davvero lieve la terra – ci consegna ora un corpus di opere fondamentali per uno sguardo vero e non scontato sul Cilento. Laureato in giurisprudenza, lavorò nelle strutture sanitarie pubbliche. Si chiamava ancora Usl 60, Chieffallo ne era il direttore amministrativo. I dispiaceri non gli mancarono e nel 1994, a seguito della realizzazione nel 1990 di un centro di igiene mentale nel Comune di Rutino, per una una legge regionale che delegava alle Unità sanitarie locali la realizzazione di strutture alternative a quelle ospedaliere per il ricovero e la cura degli ammalati mentali, con altri 18, veniva sottoposto a una violenta e discussa inchiesta giudiziaria. Tutto si risolse in una bolla di sapone, ma con lo Stato assoggettato a pesanti indennizzi agli accusati, finanche un suicidio. Gerardo Spira, poi al fianco di Angelo Vassallo a Pioppi, fu sospeso dal lavoro e per vivere si dovette mettere a fare l’avvocato. L’Usl fu commissariata e l’allora manager, Giovanni Pesce, stimato medico originario di Laurino – non potette continuare a reggerla come amministratore straordinario, e concorrere così all’incarico di direttore generale dell’Asl Sa 3, pur avendone tutti i titoli. Chieffallo resse allo sconforto e all’amarezza dedicandosi ancora di più ai suoi amati studi. Ritengo ricordarla questa storia perchè va ad onta di un certo modo di “irrogare” la giustizia che, speriamo, stia alle nostre spalle. “Avrebbero potuto semplicemente interrogarci e farsi spiegare sul perchè avevamo fatto certe scelte”, mi raccontava uno dei protagonisti, quando da cronista in servizio permanente ma non effettivo, mi capitò di occuparmi dei postumi – malamente occultati – di questa vicenda.
IL MERIDIONALISTA
Cilento e non solo. Napoli e Palermo. Tra tutti i “titoli” che gli sarebbero spettati per la sua attività Mimì teneva a quello di meridionalista. Battagliero testimone di una rinascita che lui vedeva nel solco di una giustizia giusta, della battaglia contro il crimine organizzato e in doppiopetto e ad una borghesia degenerata che ha manovrato ai tempi il brigantaggio e oggi le principali istituzioni pubbliche. Chieffallo ha sempre scommesso su valori come esempio, impegno e rigore. Si fece notare con “Un grido dai bassifondi” (1983) giunto in breve tempo alla terza edizione che delinea una panoramica della società meridionale attraverso nuovi e vecchi problemi; In “Terra, fucili e bastimenti” (1984) ha narrato l’epopea contadina del Sud attraverso le prime sommosse, il brigantaggio post-unitario e l’emigrazione; Nel regno della lupara” (1985) con cui ha affrontato il problema mafia in una dimensione storico sociale che rivela la complessa tematica di uno degli aspetti più inquietanti della realtà sociale del meridione. Nel 1989 pubblica “La lunga notte della camorra”, con cui denuncia le radici sociali della criminalità napoletana e offre una panoramica sulle multiformi attività dell’organizzazione. Di assoluto valore i suoi studi sul Cilento, fra i quali: Cilento: contadini, galantuomini e briganti (1989), Cilento oltre oceano (1994), Cilento e Mezzogiorno (1996), Le terre dell’abbandono, Novecento Cilentano, Cent’anni di lotte, speranze, delusioni in una realtà rurale.
GIORNALISTA E DIRETTORE DI UNA COLLANA EDITORIALE
Ha diretto inoltre una collana di studi e ricerche storiche su Agropoli per la quale ha scritto: II colera del 1866; I confinati politici nel periodo fascista; La bonifica delle zone malariche in epoca fascista; l’istruzione pubblica dalle antiche origini agli anni ’50; La Chiesa dei Ss. Pietro e Paolo nella storia di Agropoli; Agropoli dal XIX al XX secolo, edito dal Comune di Agropoli. È stato autore di alcune inchieste pubblicate nella rivista storica “Annali Cilentani”, tra le quali: La disoccupazione nel Cilento: dati, cause; riflessioni; Lo stato della criminalità organizzata nella piana del Sele e nel Cilento; II patrimonio zootecnico nel Cilento ai giorni nostri; Origine ed evoluzione del caporalato. Infine è scritto per diversi giornali e riviste. Tra tutte spicca la sua raccolta di lettere degli emigranti.”Venimos de la noche y hacia la noche vamos”. Due secoli di storie di emigranti, dal 1879 al 2004, con la quale lo scrittore racconta ciò che la storia ufficiale non dice.L’emigrazione degli italiani in America raccontata attraverso le lettere dei cilentani partiti per cercare fortuna nel Nuovo Mondo. La nostalgia per i parenti, le condizioni disumane del viaggio e la difficile integrazione nei territori raggiunti, sono i temi che accomunano la raccolta di epistole curata da Chieffallo. Una potenza saggistica e narrativa da nessun altro eguagliata. Il volume si divide in due parti, la prima analizza il fenomeno dell’emigrazione, la seconda raggruppa le missive. Le parole dei migranti cilentani sono lasciate nel loro dialetto per conservare integra la schiettezza dei racconti. Ne deriva un comune senso di nostalgia che pervade l’intera opera. “La nostalgia è un problema interiore che consuma la persona – spiega l’autore -. Può essere classificata in tre modi: quella del paese d’origine, come entità fisica e spirituale; quella delle persone care e quella dei fatti che sono stati vissuti nel proprio paese ma che si vorrebbero rivivere nel luogo dove si è arrivati”.
“Uomo serio, professionista stimato, scrittore onesto intellettualmente, amante del Cilento e della sua storia”, mi piace riproporre la sintesi che ha voluto darne Ernesto Apicella, editore e fotografo tra i più apprezzati del Cilento. I giovani “alternativi” di “Buco 1996” vanno oltre: “Domenico Chieffallo ha raccontato la sua terra facendoci conoscere gli aspetti più particolareggiati del brigantaggio, immenso il libro in cui racconta le brigantesse, così come da non sottovalutare l’immenso potenziale della storia dell’emigrazione dei cilentani verso le Americhe e non solo. Rileggendo quelle storie il pensiero non può andare a quello che succede oggi in Italia e a come vengono accolti i disperati profughi in Italia: leggere quelle pagine deve darci il motivo giusto per superare le diffidenze che ci spingono a trattare persone come bestie. La storia dei nostri avi raccontata sapientemente da Domenico Chieffallo deve esserci da sprone positivo. Ecco perché riprendiamo la battaglia che aveva iniziato negli ultimi tempi l’immenso Mimmo che voleva l’introduzione nelle scuole cilentane della storia della propria terra. Da oggi lo dobbiamo al grande storico che non c’è più perché solo conoscendo il proprio passato possiamo meglio affrontare il presente e il futuro”.
Grazie di tutto, Mimì. E soprattutto della tua stima.