In un articolo del marzo 2021 uscito sul Corriere della Sera, si evidenziava l’allarmante divario tra le regioni del Nord e quelle del Sud, sulla questione del randagismo.
“Dei 98.596 cani presenti in Italia nei canili e rifugi il 67% si trova nel mezzogiorno, sono infatti oltre 66.200 i cani nel sud e nelle isole. Sempre al sud sono concentrati il 43% dei canili. Tra questi la Campania registra il numero più elevato di cani nel canili/rifugi con oltre 20.856, seguita da Puglia 18.953, Calabria15.000, Sardegna 8.904, Basilicata 6.495, Sicilia 6.213. La Campania è anche la Regione con la spesa più alta, il costo di mantenimento delle strutture è di 27 milioni annui, seguita da Puglia 24 milioni, Calabria 20 milioni, Sardegna 11 milioni, Basilicata 8 milioni, Sicilia circa 8 milioni.”
I numeri dei rifugi che rispecchiano i numeri degli abbandoni e della mala gestione di un fenomeno in tutto e per tutto di interesse sociale, non dovrebbero indignare i soli animalisti.
La cura di un animale domestico è quanto c’è di più vicino alla cura di un familiare che non produce ricchezza – non in termini economici almeno – e l’adozione dovrebbe rispondere ad una sincera presa in carico dell’animale, con annesse tutte le responsabilità.
Purtroppo, però, come per i cali demografici che fanno scendere l’asticella delle nascite per un motivo, anche accudire un cane sembra essere diventato sempre più un costo insostenibile per molti. Le campagne di sterilizzazione, dovere degli enti preposti e compito delle associazioni, scarseggiano, i rifugi sono saturi e chiedono a chi segnala animali abbandonati o da affidare per impossibilità di cura, costi di sostentamento che equivalgono a quanto non si può dedicare loro in casa propria e i comuni non sembrano tenere nel giusto conto la questione del randagismo, dei maltrattamenti e, in taluni casi, dei veri e propri atti di violenza contro gli animali, randagi e domestici che, spesso, nelle aree rurali hanno la possibilità di girare liberi, altrimenti, anche per loro, sarebbe come passeggiare in città.
La questione interessa tutti e non è ammissibile che non si immaginino soluzioni collettive per alleggerire il carico creatosi sulle associazioni e sulla vita di molti animali.
Basterebbe, nei piccoli comuni, dopo aver comunque risvegliato le asl di competenza, attivare reti familiari di sostegno economico. Un piccolo contributo a famiglia e un luogo sicuro. Cifre che non peserebbero certo più della rinuncia ad un caffè al giorno, ad un fuoco d’artificio in meno durante le feste. Sarebbe un bellissimo esempio del fare comunità intorno a chi non può farcela da solo, e forse insegnerebbe qualcosa anche ai meno sensibili, alla questione.
Francesca Schiavo Rappo