Le poesie di Michele Savino parlano di spopolamento e di emigrazione. “La voce delle pietre”, libro di poesie in dialetto cilentano, Edizioni Il Faro, racconta storie di vita al focolare, di addii, di partenze e di abbandono.
“La voce delle pietre” è la silloge di poesie in dialetto cilentano di Michele Savino, poeta e ingegnere di Catona. “Strano vedere un ingegnere, di solito logico e matematico, portato a sviluppare progetti, trasformarsi in poeta, ma questo è Michele Savino” scrive nella prefazione Daniela Moreschini. Le liriche mostrano, al pari di fotografie in bianco e nero, momenti di vita del suo paese, Catona. Delle poesie di Michele Savino, Daniela Moreschini individua le tematiche che le accomunano: “nei suoi versi racconta in modo nostalgico l’amore per il paese natio, il dolore nel doverlo abbandonare e assistere pian piano negli anni al suo declino. Un luogo che ogni lettore potrebbe fare proprio”. Le poesie parlano di sopolamento, di amore nostalgico per il paese delle origini, di emigrazione. Il giovane poeta ingegnere sceglie di scrivere in dialetto: la lingua delle radici, la lingua della sua terra, la lingua delle sue pietre. Accanto ad ogni poesia è riportato il testo in italiano affinché tutti possano ascoltare la voce delle pietre. Al suo amato paese, Michele Savino dedica uno scritto che chiude la silloge: “Cenni storici del mio paese”, in cui illustra dettagliatamente, dalle origini ad oggi, l’antica e affascinante storia di Catona, “frazione collinare del comune di Ascea (SA), sita a 650 m s.l.m. immersa tra ulivi secolari e castagneti nel Parco Nazionale del Cilento, Vallo di Diano e Alburni”.
“La voce delle pietre”, con la forza che solo la verità può avere, è la voce di quelle pietre che stanno diventano ruderi. Pietre che custodiscono storie, vite, saperi e tradizioni di paesi che rischiano di essere dimenticati, abbandonati, fagocitati dalla modernità. Michele Savino affida il compito di tramandare la sua lirica alla voce antica e potente delle pietre che custodiscono la storia. Perchè, come ci ricordano le poesie del poeta ingegnere, le pietre testimoniano il passato e le tradizioni, raccontano di vita al focolare, di addii e di partenze, di abbandono, di tradizioni e di ricordi; e lo fanno con sincerità e saggezza, con toni a volte ironici e a volte amari, ma sempre autentici.
Nei versi della poesia che dà il titolo alla silloge, il poeta ingegnere si rivolge a noi lettori, scuotendoci: “Ah se lempietre potessero parlare! Loro che hanno resisitito al tempo che non hanno ceduto mai né all’acqua e né al vento. Loro che sanno tutto di ogni famiglia … E poi hanno occhi che non prendono mai sonno erba aggrappata fino all’ultimo affanno”.
“Paese mio”, la poesia dedicata a Catona che chiude la silloge, è un disarmante, forte messaggio rivolto alla nostra coscienza: “l’odore del pane caldo te lo sei dimenticato e hai sentito più campane nei giorni di lutto che pianti di bambini … Paese, paese mio e cosa piangi a fare? Non ti hanno mai sentito figurati se ti sentono adesso, ce ne stiamo andando ma non è colpa tua. Ah paese, paese mio”.
L’opera di Michele Savino è attualissima e va letta perché pone ai cilentani questioni urgenti e improrogabili: mai come in questo momento storico, in cui lo spopolamento e l’emigrazione del Cilento aumentano in modo esponenziale, occorre ascoltare la voce delle antiche pietre, che chiedono di essere ascoltate, che devono essere ascoltate!