di Giuseppe Liuccio
Negli anni della mia infanzia la vendemmia era una festa con le donne ad affastellare nei panieri pigne lustre di sole e profumate di umori e con la processione degli asini stracarichi di “sporte” per i viottoli sterrati di campagna con l’assordante ronzio di mosconi e vespe. Nei vicoli del paese le cantine spalancate offrivano lo spettacolo di uomini alla danza bacchica della pigiatura a riso aperto e piedi nudi. L’aroma denso del mosto inumidiva l’acciottolato delle vie e i muri sbrecciati delle case. A San Martino, coi primi freddi, al caldo amico del ceppo e con lo scoppiettare delle caldarroste, c’era la prima verifica sulla resa e la pastosità delle uve maturate su colline cretose a caracollo di valli e fiumare. Oggi la professionalità degli addetti e la tecnologia degli impianti hanno rivoluzionato la produzione, ma il risultato non è cambiato affatto. Le “cantine” a livello industriale, note sui mercati degli intenditori, portano alto il nome del Cilento, in cui, dalla notte dei tempi, trionfa il Bacco dei vitigni in una con Minerva degli ulivi e Cerere delle messi. A Castel San Lorenzo, nella Valle del Calore, sui petti delle colline assolate di Prignano, sui pianori accidentati del Muoio di Agropoli, o di Tresino dirupante sul mare, come nella laboriosa Rutino, ma anche nel territorio del Palistro, tra Ceraso, Castelnuovo Cilento e Ascea, è nato un nuovo promettente corso della vitivinicoltura cilentana nel segno della competenza e della professionalità. Anche i consumatori sono diventati più esperti e, quindi, più esigenti. E tutti o quasi conoscono i vitigni: Aglianico, Barbera, Piedirosso, Sangiovese, Sciascinoso, Moscato, Fiano, Greco, Biancolella, Malvasia, Trebbiano, ecc.
Sono ricche e varie le testimonianze del mito su vite e vino. Tanto per cominciare, narra un antico mito greco che, quando la vite non aveva ancora un nome, usava arrampicarsi sugli altri alberi formando una foresta vegetale da cui zampillava il rosso ed inebriante succo del frutto. Un giorno ad una di queste viti si avvolgeva sinuoso e minaccioso un drago e succhiava con ingordigia i grappoli; però, quando vide arrivare Bacco/Dioniso, fuggì per nascondersi in una grotta. Ma il giovane Bacco si ricordò degli oracoli della sua nutrice Rea e decise di ricavare il vino dai grappoli dell’uva. D’altronde, già prima dei Greci, i Sumeri conoscevano una dea con il nome di Madre Vite. Ma nel mondo greco come in quello latino la mitologia su Dioniso/Bacco è ricca di episodi/leggende che hanno del sacro. Infatti la sacralità del dio del vino e della vite è presente e diffusa in quasi tutte le religioni dell’antichità. La stessa religione cristiana ne fa riferimento nel Vecchio e Nuovo Testamento. Basti pensare al noto episodio delle “Nozze di Cana”, riportato nei Vangeli, quando Gesù, su preghiera della Madre Maria, trasforma miracolosamente l’acqua in vino (e che vino!). Per non parlare, poi, dell’Ultima Cena, quando Cristo invitò i suoi discepoli a mangiare il pane trasformato nel suo corpo e a bere il vino fattosi suo sangue. E nacque il Mistero dell’Eucaristia, che viene celebrato quotidianamente da tutti i sacerdoti nella Santa Messa e venerato e praticato dai fedeli di tutto il mondo. Lo stesso dicasi delle testimonianze letterarie di tantissimi poeti di tutte le letterature. Basti citare qui Archiloco ed Alceo tra i Greci ed Orazio, Virgilio e Lucrezio tra i Latini. Tra i tantissimi della Letteratura Italiana, cito il più noto ed emblematico nel genere Lorenzo Il Magnifico. Per intanto ecco alcuni versi della mitica vendemmia nelle “Dionisiache” di Nonno: “…e recideva (Dioniso) i grappoli appena maturi con l’affilato tirso/E lo accompagnava il coro dei satiri, uno/vendemmiava ricurvo, un altro raccoglieva i grappoli/ recisi in un vaso………/nella liscia conca Bacco stendeva la vendemmia….). Ritornando al presente ed al nostro Cilento possiamo sottolineare la grande variabilità di vitigni e territori per evidenziare che è difficile individuare le qualità utili a caratterizzare i nostri vini sia bianchi che rossi. È un campo vasto di ricerca e di studio che gli enti sovra comunali, a cominciare dal Parco, dovrebbero promuovere ed esaltare sui mercati un nostro prodotto, che, per inciso, già nel ‘600 era noto ed apprezzato alla Corte di Napoli, che si riforniva presso i vitivinicoltori di Pellare. Ma su questo come su altri problemi si registra un silenzio tanto assordante quanto imbarazzante. Eppure sono tante, forse troppe, le manifestazioni della vendemmia organizzate dalle proloco, ma, salvo qualche rara e lodevole eccezione, non sempre e certamente non tutte di qualità. E dire che basterebbe fare una selezione di testi letterari e di canti popolari e non, per animare due o tre venti significativi sul territorio teatralizzando storia, musica e poesia. Ma il Parco, come, d’altronde, le Fondazioni a cui spetterebbe farlo, sono sordi ai suggerimenti e tutto si appantana nel lago limaccioso della routine della quotidianità. Potrebbe prendere l’iniziativa l’avvocato Franco Alfieri, autorevole collaboratore, per l’Agricoltura, del Governatore Vincenzo De Luca e al quale ricordo con amicizia che anche il mondo delle campagne ha bisogno di essere di essere gratificato di attenzioni significative nel segno della CULTURA e delle tradizioni calde e nobili del nostro territorio. Un suo autorevole intervento potrebbe essere risolutivo FORSE.