Il passo del Vangelo di questa domenica riporta un discorso di Gesù ai suoi discepoli. Sono parole che sorprendono e spaventano anche un poco, parole che hanno effetto di provocazione e fanno sorgere diverse domande.
Il parlare di Gesù sembra esagerato e il passo certamente non è facile da interpretare. A una prima lettura sembra porci di fronte a delle scelte radicali riguardanti la nostra vita e il nostro agire quotidiano. Sembra stravolgere il concetto dei legami umani, urtare con la bellezza e la forza degli affetti che sono la cosa più bella di questa vita, relazioni che, se vissute in modo equilibrato, dovrebbero caratterizzare la vita di ognuno di noi.
Quando rileggo questo passo mi ritorna in mente uno dei tanti incontri di catechesi organizzati nella parrocchia che frequentavo da ragazza a Napoli, Santa Maria delle Grazie a Capodimonte.
Ricordo che seguii con molta attenzione e interesse la spiegazione del nostro viceparroco, padre Cipolletta, sulla pagina dell’evangelista Matteo su cui la liturgia di oggi ci invita a riflettere.
Gesù non mette in discussione il bene tra genitori e figli, non dice di non amare la propria famiglia, il luogo primario dell’affetto, dell’incontro, del sostegno, spesso anche di difficoltà e incapacità di accettarsi, ma sicuramente luogo primario dell’opportunità di ritrovarsi, di ricominciare partendo proprio dall’amore, ma tutto questo non deve essere anteposto a Lui.
Esorta tutti noi a scegliere Lui come fonte e termine di ogni amore e di ogni legame, a rinunciare a tutto per Lui.
L’amore per i genitori, per i figli, per i fratelli deve basarsi su un amore più grande, “di più” dice Gesù, quello per Dio e deve portarci ad amare Dio come Lui ama noi.
Amarlo sopra ogni cosa, amarlo rinunciando ai nostri egoismi, accettando inconvenienti senza lamentarci, facendo la sua volontà, scegliendo di schierarci dalla parte dei più poveri e dei più deboli, cercando di mettere in pratica sempre il suo insegnamento: amare il nostro prossimo, anche il nemico.
Nel passo di Matteo leggiamo anche di prendere la croce, di abbracciare la croce che ognuno di noi ha, a volte anche più di una, e qualcuna più pesante di altre, perché proprio nella croce, nelle prove e nelle sofferenze possiamo scoprire possibilità nuove, riusciamo a seguire e ad accogliere Gesù.
L’esperienza della croce non è sofferenza da accettare con rassegnazione, non deve bloccare il cammino della vita, ma deve essere la scelta di continuare ad amare anche quando diventa difficile. Dobbiamo condividerla con Gesù, affidarci a Lui quando non sappiamo quale decisione prendere e con chi consigliarci.
Soffermiamoci sulla conclusione della pagina di Matteo. Dare la vita o anche solo un bicchiere d’acqua fresca a chi ne ha bisogno ci avvicina a Dio. Un bicchiere d’acqua fresca data col cuore che può essere “niente” ma può essere anche “tutto”.
Gesù ci chiede poco perché possiamo sperimentare la sua gratitudine, una gratitudine che tiene conto anche del più piccolo gesto d’amore. Il passo del Vangelo è un appello a mettere quindi al centro della vita ciò che veramente conta, niente di materiale ma semplicemente l’amore per Dio che si concretizza con l’amore fatto di gesti semplici, di apertura, accoglienza, donando noi stessi per i fratelli.
Perdere allora la nostra vita, come ha fatto Gesù che ha perso tutto per noi, acquista un valore di eternità che solo Dio potrà ricompensare nel modo adeguato.