Questa settimana in tutta Italia si celebra il Dantedì, occasione per riflettere sulla bellezza dell’arte e la centralità della poesia per riscaldare il cuore umano soprattutto nei momenti più difficili della vita. Il sommo vate della nostra cultura nazionale è stato un continuo stimolo per l’arte che, fin dall’inizio dell’esperienza cristiana, si è trasformata anche in una coinvolge catechesi nel raccontare la storia della Salvezza. Per i suoi risultati estetici questa feconda comunicazione è divenuta anche patrimonio dell’umanità. Pittura, scultura, architettura concorrono ad illustrare la bellezza che la poesia esprime con le parole, opere d’arte significanti perché interrogano chi le osserva, le ascolta, le ammira. Con linguaggio allusivo si rivolgono a chi con predisposizione pre-logica sa ascoltare l’implicito messaggio fatto di colori, sfumature, simboli che invitano a scoprire il perché delle cose grazie al veicolo del bello che fa tralucere l’essere.
Una educazione alla dimensione estetica si rivela particolarmente utile per apprezzare l’immenso patrimonio artistico che ci circonda. Esso diventa un prezioso veicolo per una contemplazione che riempie gli occhi, stimola la mente e riscalda il cuore sollecitando la creatività dello spirito nel percepire la forma nella sua globalità e conferire specifico significato anche ai particolari. L’opera d’arte nelle sue molteplici forme diventa un simbolo in cui soggetto e oggetto si fondono riproducendo un mondo interiore grazie alla fantasia, facoltà immaginativa per eccellenza. Diventa uno scrigno di cultura perché ogni popolo ha le sue tradizioni, procede “da” per dirigersi “verso” tracciando la sua storia.
Questa premessa aiuta ad appressare la ricca simbologia che tanti artisti hanno raffigurato prendendo spunto dalle opere di Dante. Tra questi di recente si è segnalato Gianbattista Visconti. In molti suoi lavori emerge il connubio tra fede, tradizione, sentimenti ed esperienza comunitaria. Protagonista indiscusso di questo incontro tra arte, religiosità e tradizione, egli è un medico-pittore che con squisita generosità ha donato parecchie opere alla comunità di Cannalonga. Ad esempio, nella cappella della Fiducia si custodiscono le icone mariane, testimonianza visiva delle lodi tramandate dalle Litanie Lauretane. La lirica invocazione di Maria carpisce l’acme emozionale dell’ascesi del cuore umano verso il mistero della maternità, della figliolanza, della relazione creaturale con Dio Padre. Pare quasi di sentire il canto a più voci che accompagna il viaggio verso la meta, che, dall’eleison iniziale, giunge a sfiorare la Regina del cielo e della terra, esperienza che suscita emozioni e, contemporaneamente, il desiderio di andare oltre, anche se solo a piccoli passi, per incontrare la Luce liberatrice in un abbraccio materno, incontro con l’amore pieno, capace di scandire fruttuose esperienze di pace gioiosa.
E’ la celebrazione di una vita segnata da benevolenza, fedeltà e mitezza, grazie ad un costante dominio di sé sgorgato da un continuo esercizio di pazienza. In questo pellegrinaggio Visconti utilizza il disegno per condurci al centro del Mistero. Egli lo trasforma in devota contemplazione, esaltata in una vibrazione di toni interiori, che fanno riflettere e, quindi, infondono coraggio ed accendono la speranza. Perciò, le sue opere non lasciano indifferenti. Anche solo un piccolo particolare colpisce ed aiuta a percepire i momenti più significativi dell’esperienza cristiana filtrando simboli, segni e metafore. Alla fine, la poesia che scaturisce dalle icone propone ed aiuta a decifrare le tappe della nostra Salvezza e così sorge il desiderio di sostituirsi al Bambino per gustare l’abbraccio caldo della Madre, anche se i suoi occhi penetranti, segnati da una venatura di malinconia, non nascondono il fardello del dolore causato dal male redento dal sangue di suo Figlio.
Come Virgilio guida di Dante, Visconti con le sue opere diventa mentore e compagno in questa ricerca il cui tracciato esistenziale consente di cogliere le orme più profonde della nostra condizione. Lo spessore del dramma si percepisce osservando i lavori di questo originale artista, capace di evocare sensazioni che richiamano l’oltretomba senza distanziarsi dai riferimenti alla quotidianità, viaggio alla ricerca della verità incontrando cose ed uomini, cronaca scandita dalle tappe racchiuse in opere che invitano ad un pellegrinaggio all’interno della coscienza per dar conto e ragione di tanti stimoli percepiti nel mezzo del cammino della vita. L’esperienza diventa stimolante se si considera che si vive un tempo particolare. Il bisogno di riscoprire le radici induce ad un percorso evocatore di sogni, immagini, desideri, rimpianti e speranze, pellegrinaggio dello spirito per dar corso alla conversione catartica e liberarsi, finalmente, di tante inutili ed assillanti sovrastrutture. L’artista invita a osservare i suoi lavori per interpretarli ben oltre la relatività del gusto pittorico, tutto intriso di citazioni tratte dalla storia dell’arte e puntualmente travasate nel policromo itinerario e nell’apparente fissità del bianco e nero. L’attenta osservazione suscita emozioni profonde grazie al rapporto dialogante dell’io dell’osservatore con la personalità dell’artista che emerge dal disegno. Inizia, in tal modo, un percorso carico di significati da cogliere, sceverare e gustare. Un ruolo particolare in questo colloquio tra anime è svolto dal disegno, linee rapide la cui intensità conferisce ulteriore contenuto e rende ancora più vivida la reazione emotiva di chi, nell’osservare l’opera, va alla ricerca dei tanti reconditi significati.
Questa esperienza la ripropone la rappresentazione pittorica di alcune cantiche della Divina Commedia. Osservare nel centenario dantesco i quindici quadri oggi in mostra nell’oratorio di Cannalonga significa veramente immergersi, contemplandole, nelle stazioni della Via amoris e percepire, come il sommo poeta, gli effetti incerti e sospesi per le imprevedibili esperienze che riserva una condizione umana soggetta alle persistenti tentazioni causate dalle pulsioni del nostro io profondo. È una condizione che colloca in bilico tra bene e male, in una sensazione di pigra accettazione, intervallata dal ricorrente desiderio di analizzare le situazioni di cui abbiamo esperienza per approfondirne significato e portata. Grazie all’agile pennello, Visconti suscita un sentimento di speranza perché la prospettiva dell’esperienza quotidiana non si risolve nel buio profondo del regno del male. Un angelo nocchiero è pronto a traghettarci in un luogo dove è possibile elevarsi grazie all’intelligenza illuminata, rappresentata dall’aquila, ed al bagno ristoratore in acque capaci di conferire nuova verginità alla memoria.
Dote di Visconti è la sua creatività; gli consente di proporre continuamente progetti per rispondere alle sollecitazioni di una mente sempre affollata di idee che arricchiscono le note di viaggio in compagnia di Dante utilizzando una tecnica mista con materiale diverso su tavole lignee. L’artista pone in evidenza le sue finalità. Ad esempio, la chiave adagiata sul masso sopra il quale si staglia il piede di Dante, pronto ad iniziare il viaggio nonostante le insidie delle tre fiere, è un invito ad impugnarla per adoperarla al momento opportuno. Il successo è garantito dalla umiltà e dall’attenzione sapienziale per conoscere il nucleo delle cose, esplorarne significato e portata, cercare connessioni e risvolti per trovare i significati e dare senso alla propria esistenza. Il processo costa fatica perché non è mai concluso, ulteriori esperienze possono mettere in discussione le conoscenze acquisite. Da qui il contrasto tra sapienza e scienza, oppure stoltezza e follia, vento asfissiante nel quale vivono gli uomini. Investigare con saggezza ciò che avviene sotto il cielo può risultare un penoso immergersi nella storia segnata dalle ombre e dagli affanni di una pesante esperienza per tante certezze sbagliate. Tuttavia, nonostante il rischio di perdere “la speranza de l’altezza”, non è possibile fermarsi “al cominciar de l’erta” se si vuole vedere la vita nella giusta prospettiva.
Anche noi, grazie ai canti danteschi proposti da Visconti alla contemplazione visiva, siamo pronti al viaggio, trasformatosi subito in pellegrinaggio per le sollecitazioni alla meditazione interiore che aiuta ad affrontare e contemplare le tematiche della sacralità della vita. Malgrado i tormenti delle tre fiere, a darci coraggio è la compagnia di Beatrice e di Lucia anche quando ci sembra di attraversare l’inferno dell’esistenza fino al punto più basso dell’incontro luciferino. Per proseguire il nostos occorre abbandonare ogni languido torpore del momento presente. Grazie alla guida dei Virgili, che ognuno incontra lungo la propria vita, è possibile attraversare il fiume che divide il male senza speranza. L’erta rimane faticosa, la sola intelligenza non costituisce un adeguato sollievo e uno strumento idoneo. Bisogna saper volare per contemplare il Logos; occorre entrare in un’altra dimensione, spogliarsi delle certezze umane, accettare di trasfigurarsi specchiandosi nel dialogo continuo tra Francesco e madonna Povertà, porsi, cioè, nella condizione ideale per continuare il viaggio di rivelazione del mistero della vita. A questa condizione ogni uomo può abbeverarsi al fiume che “la tramortita sua virtù ravviva” e attingere acqua viva, quella “che qui si dispiega da un principio” e che rinfranca ponendo nella condizione di fare l’ultimo balzo alla ricerca di senso e del significato della storia. Berne a piene mani consente di acquistare nuova oggettività critica perché il gesto “sé da sé lontana”. E’ l’ultima tappa proposta da Visconti nella sua via amoris: l’incontro con la Croce sulla quale campeggia, lampeggiando, il Cristo. È il Risorto che genera una forza capace di aspirare verso l’alto tutti i salvati e predisporli all’ultimo incontro nell’Empireo. Così viene ricostituita l’armonia del cosmo: la nuova creazione nella prospettiva paolina. Termina il viaggio interiore; si è finalmente pronti ad accogliere la “melode” che si diparte dalla croce, rapiti anche “sanza intender l’inno”. Intanto, “la circolata melodia si sigillava, e tutti li altri lumi facean sonare il nome di Maria”. È una Maria dal volto giovanile quella disegnata da Visconti, citazione della pietà michelangiolesca in San Pietro, quasi a dire: Maria, la prima redenta, non prova più dolore e non invecchia perché immagine sublime della salvezza donata. L’autore abbozza la storia teologica della vergine nei pannelli del Rosario. La ricerca è ormai conclusa, il libro finalmente si chiude, come gli occhi di Dante: il pellegrino può abbandonarsi alla contemplazione.
Così viene offerta la possibilità di approdare al paradiso e contemplare l’icona di Francesco, associarsi alla teoria degli spiriti beati, riconoscere la croce, vessillo di vittoria mentre ci si bea della melodia trinitaria che, nella sua circolarità, fa tutti partecipi della salvezza. Di questa intima esperienza intellettuale l’autore fornisce una versione più popolare nell’ultima tavola, nella quale la meditazione sulla Vergine del rosario evoca la pietà della fanciullezza dei singoli e la devozione mariana di mamme e nonne, sentimenti ed esperienze evocate con nostalgia, depositarie di ricordi che accompagnano la vita ponendo alla portata di tutti l’esperienza mistica del percorso dantesco in precedenza proposto. Questa è l’unica vera vittoria perché rende tutti felici, senza prevalere su eventuali nemici, sconfitti e condannati, ma per l’emergere della fratellanza universale grazie al viaggio redentore dell’anima alla ricerca della propria identità nell’abbraccio con l’Uomo-Dio.
L.R.