A Capaccio, patria dell’abusivismo incondizionato, parlare di Tipologia e di Architettura diventa a dir poco un eufemismo (les pople est estrè dans la salle du roi)
La tipologia giusta non c’è! (prendendo spunto da un eufemismo di Totò in “miseria e nobiltà” a proposito della sedia per il marchesino). Sorprendentemente, alle nostre latitudini una sorta di spontaneismo tipologico ben “codificato”, cresciuto come un fior di loto nella melma, c’è e come! Del tutto privo di “invarianti”, ovvero “spontaneamente creativa” e sempre cautamente gestito da utenti e addetti ai lavori. Ma di quale tipologia stiamo parlando? Quella (impropriamente definita) “edilizia”, ovvero sia, architettonica!
Ma alle nostre latitudini non si fa caso alle “illazioni della nomenclatura”, d’altronde non siamo mica ai tempi del Vasari e degli “ordini classici”.
Quello che era la “metodologia” dell’approccio culturale e scientifico all’analisi della città e della sua evoluzione, è stata da tempo “impropriamente importata” alla politica dal “sacro gral” degli studiosi e degli storici, a partire da Viollet Le Duc (se non prima) a Carlo Aimonino.
Ma a Capaccio (quello della sinistra Sele e marittimo), patria dell’abusivismo incondizionato, parlare di Tipologia e di Architettura diventa a dir poco un eufemismo (les pople est estrè dans la salle du roi).
Mai nessuno, dai tempi del P. di F. di Visconti fino al commiato P.R.G. di Airaldi, che, nei contenuti, prospettava la necessità di razionalizzare l’attività edilizia, ponendone le premesse per una svolta in termini qualitativi, si è prestato a mettere in atto azioni volte ad arginare “il dilagante bricolage dell’attività edilizia”, favorendo la “qualità architettonica” (oggi si direbbe contemporanea), come (abbastanza efficacemente) fanno in altri contesti. Uno “straccio” di tipologia imposto dalle autorità (men che meno la sovrintendenza) avrebbe paventato lo sviluppo di “pezzi di città” meno “disomogenei e privi di qualità”, dalla macro alla micro scala, mettendo mano (una volta tanto) alla stesura degli strumenti attuativi della pianificazione: lo zoning (uno dei fondamentali e più diffusi strumenti di disciplina dello sviluppo urbano, che consiste, essenzialmente, nel vincolare l’uso del suolo a destinazioni prefissate ) e la tipologia.
Ma ironia della sorte, parlare oggi di tipologie architettoniche (a schiera, a corte, a torre, ecc.) si rischia di diventare obsoleti. Non ne parla più nessuno (neanche gli accademici più convinti, come qualche assertore che ha avuto dei recenti trascorsi “in quel di Capaccio” a suon di “lilleri”).
Non fosse altro perché il dibattito architettonico e urbanistico nazionale (poco) e d’oltralpe, dopo l’ubriacatura post-modernista degli anni ’80, ha definitivamente deposto in cantina la questione della Tipologia, rivolgendo l’attenzione su ben altri temi: il ruolo delle periferie,la ricerca formale in campo architettonico costantemente mutante e dissonante forte di un impetuoso sviluppo tecnologico, l’energia e il consumo di suolo.
La risposta localistica “ai futuri” della città-territorio, passando per una “architettura sostitutiva”, porterebbe a pensare (o a sognare) la riformulazione di dettami normativi (PUC, RUEC, tavoli di concertazione con i soggetti coinvoltie chi più ne ha più ne metta) in grado di anteporre, una volta tanto, una coraggiosa “visione dello sviluppo”più sul piano del “pensiero” che dei numeri.
In questo scenario opulento, le questioni a Capaccio, oggi più che mai, restano aperte!
Ribadiva Totò: non ne parliamo più!… Ne vogliamo parlare ?