Non seguo Massimo Giletti, perché il suo tipo di giornalismo gridato, non si confà con il mio modo di essere e di pensare. Ogni tanto, però, scorrendo Facebook, leggo delle sue violente intemerate verso alcuni personaggi che non sono nelle sue corde e nella sua simpatia. Al di là del suo pensiero, che non condivido, quello che mi stupisce nell’uomo è la continua crescita della sua esaltazione, che in alcune movenze visive, mi da l’impressione di un’invasato che arringa il suo uditorio da uno studio televisivo, dove aleggia un clima di partigianeria fuori dal comune, a favore di una precisa forza politica, che lo avrebbe candidato a sindaco di Roma. L’uomo è notevolmente peggiorato dai tempi della Rai, perché si è cucito addosso la figura di un personaggio irriverente e di rottura verso il potere, che peraltro gli calza a pennello, quando con la sua aria da guascone, dispensa invettive, a man bassa, contro chi non rientra nei canoni della sua visione della realtà e dei suoi pensieri politici. Continuando di questo passo, Giletti il fustigatore, a furia di fare il tribuno ed il demagogo nel suo tele-pollaio, rischia di incartarsi su se stesso, perché, a lungo andare, le persone sopra le righe come lui, sono destinate a stancare e ad annullarsi da sole. Non si può giocare a lungo con la televisione gridata, perché quel tipo di televisione, non ha gli ingredienti per durare nel tempo, per cui anche il consenso del pubblico può venir meno, come sta succedendo in quest’ultimo periodo alla trasmissione di Giletti, che sta calando negli ascolti.
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