Le atmosfere sono quelle che in maniera romanzata ci ha restituito il libro “Il Balordo”, scritto da Piero Chiara e stampato da Mondadori, interpretato nella Rai tv da Tino Buazzelli. È il romanzo più conosciuto fra quelli che sono stati ambientati ad Altavilla Silentina.
Maggio del 1940: Ad Altavilla l’ordine arrivò con un telegramma del Prefetto al podestà Francesco Mottola: “Pregasi telegrafare urgenza posti disponibili in codesto comune per internandi italiani albanesi et stranieri tenendo presente opportunità che essi trovino conveniente alloggio et possibilità adeguata vigilanza. Attendesi urgentissimo riscontro”. Il mittente è la Prefettura di Salerno. Francesco Mottola risponde, a strettissimo giro di posta, che: “Potrebbero alloggiarsi in questo comune circa trenta internati, però mancano gli arredamenti e le suppellettili. È assicurata la vigilanza dei Regi Carabinieri”. Quel sì è quasi un no. La prima disponibilità alla quale si pensa è quella del Convento, poi, come vedremo, si opterà per sistemarne qualcuno presso il Castello ed altri in case private.
L’ipotesi diventò presto realtà. Di forestieri di passaggio nell’estate del 1940 non se ne vedevano molti e quando, in piazza Castello di Altavilla, videro scendere dalla “Cristalliera” quelle persone educate ed eleganti ci fu sorpresa. Nessuno si aspettava di vedere gli ebrei mandati al confino. “Si vede che non sono delinquenti”, dicevano le donne, gli anziani ed i ragazzi. Tutti gli altri erano al fronte. Solo qualche fanatico o ignorante insistette nel tenere le distanze. Grazie alle carte fortunosamente ritrovate nell’archivio storico del comune è oggi possibile ricostruire alcune storie di quel passaggio.
Come Bernardo Zgur arrivato ad Altavilla il 16 gennaio del 1941. Figlio di Giovanni e Rosaria Tomasic, risulta nato a Podroga – S. Vito di Pivano, in provincia di Gorizia, ha 25 anni, ed è celibe. Proviene dal campo di concentramento di Isernia. Appena arrivato ad Altavilla emergono subito le sue precarie condizioni di salute. È affetto da tubercolosi. È il podestà Francesco Mottola a prendere a cuore la sua situazione: “L’internato in oggetto affetto da emottisi ed infiltrazione apicale a sinistra come rilevasi all’unito certificato del locale ufficio sanitario, munito di foglio di via, viene inviato presso codesta Regia Questura per farlo sottoporre ad accertamenti diagnostici dal Consorzio Provinciale Antitubercolare e disporne eventualmente il ricovero in adatto luogo di cura”. Dopo questa nota di Mottola solo il 19 febbraio, e cioè dopo più di un mese, la Prefettura risponde per disporre il ricovero dello Zgur nel sanatorio “Villa Maria” di Mercato San Severino, Qui resterà meno di una settimana, poiché già il 26 febbraio, gli viene ingiunto di tornare al confino di Altavilla. Quello che emerge è che la Questura tenta in tutti i modi di impedire il ricovero e le cure. Fu la cocciutaggine, il senso d’umanità, del podestà Mottola, ad avere la meglio riuscendo a far intervenire personalmente il Prefetto. Il 7 marzo del 1941, Bernardo Zgur viene trasferito – in considerazione delle sue precarie condizioni di salute – nella più ossigenante e salubre località di Acerno. La Questura recalcitra, ma anche grazie ai certificati del dottor Amedeo Molinara, si riuscirà a garantire le cure al confinato. Don Ciccio, risolverà la vicenda chiedendo, e ottenendo, il personale intervento del Prefetto dell’epoca. Un piccolo fatto che s’inserisce in una grande storia, nella immane tragedia dell’Olocausto.
I Keller erano invece dei ricchi commercianti che, a seguito delle persecuzioni razziali, avevano perso tutto. “I suddetti Keller hanno dichiarato di non possedere denaro e di non avere gioielli”, scrive il podestà. Nato a Kulitzkov, Beniamin Keller è figlio di Markus e Charlotte Bader, vedovo, arriva ad Altavilla l’8 agosto del 1940, ha 72 anni ed è accompagnato dalla figlia Regina Sara, sarta.
Il vecchio Michele Mazzeo avventurosamente, da prigioniero di guerra degli austro-ungarici, aveva fatto il falegname nei cantieri navali di Budapest tra il 1917 ed il 1920, cercò nella sua memoria e fervida intelligenza di ricordare qualche vocabolo ungherese, sopravvissuto per vent’anni, per comunicare con i magiari Keller (padre e figlia nubile) che avevano voluto affrontare in Italia la vergogna delle leggi che promuovevano le persecuzioni razziali. L’artigiano altavillese rappresentò, per quei lunghi mesi, il loro unico modo di comunicare con un mondo molto diverso. Piccolo di statura e con il pizzetto bianco, Beniamin Keller agli altavillesi sembrò una copia di Vittorio Emanuele. Riuscì a spiegare d’aver dovuto lasciare la proprietà di un grande panificio a Vienna o, forse, a Budapest. Il sabato, con la figlia e gli altri internati israeliti, si metteva l’abito elegante e si faceva vedere in piazza.
IL MALTESE E GLI ALTRI. Il giovane maltese Paolo Calea invece, da buon mediterraneo, s’inserì subito tra la gioventù altavillese. Più di una volta i carabinieri lo avevano ‘pizzicato’ in giro per i vicoli del centro cittadini, ben oltre gli orari stabiliti dalla legge. Forse, fu proprio questa confidenza che lo spinse a gioire, ai principi dell’aprile del ’41, alle prime ammissioni – nella propaganda fascista – dei cedimenti bellici in Africa Orientale. E la ‘spiata’ allora fatta da due nostri compaesani resterà come unica macchia su vicende dove il senso d’umanità della nostra gente e delle stesse autorità preposte sarà costantemente presente.
Maltese, nato a Valletta, figlio di Giovanni e di Concetta Mallia. Dal 10 febbraio del 1941 la questura di Catania lo aveva destinato a Salerno, dove arriva due giorni dopo. Quando, il 13 febbraio, arriva ad Altavilla, ha 27 anni. Resterà nel nostro paese fino al 4 aprile, quando il Podestà telegrafa al questore”: “Internato Calea Paolo nell’ascoltare il comunicato numera 300 in casa di Suozzo Francesco presso il quale è ospitato presenti due persone individuate lasciava andare nel sentire avvenuta evacuazione Asmara manifestazioni di giubilo battendo le mani tanto di fattasi voce paese fatto segno manifestazioni d’ostilità. Disposto fermo est ancora trattenuto attesa istruzioni”. Il 10 aprile, con l’aiuto dei Carabinieri della Compagnia di Eboli, Paolo Calea è trasferito presso il campo di concentramento di Monte Giarucolo. “Paolo Calea stava a pensione da Francesco Suozzo e Peppina Marra a via Municipio dove c’erano due stanzette che facevano da albergo, al piano superiore di dove c’era anche la cantina e osteria. Era un bravo ragazzo. All’una la radio trasmetteva il comunicato sull’andamento bellico e quando sensi che la guerra volgeva a favore degli inglesi espresse la sua contentezza. Furono C. P. e M. S. che fecero la spia ed andarono a denunciarlo ai carabinieri. Non ci fu affatto una sommossa nel paese, anzi furono in molti a dispiacersi per quanto successo. . . ” è la testimonianza di Aspreno Pacifico, raccolta nel maggio 1998.
CARLO MELCHIORRE BOURNIQUE, fu Carlo, francese. Già confinato ad Amalfi non arrivò mai ad Altavilla Silentina. Doveva essere di buona condizione economica se il 7 aprile 1941 il questore di Salerno dispone che, quando giungerà nel paese, ’Il Bournique deve considerarsi internato a proprie spese. Il Podestà di Altavilla è pregato di segnalarne l’arrivo e di sottoporlo alle note prescrizioni, facendo tenere copia del relativo verbale”. Il 24 aprile il Questore cambia idea e con un telegramma avverte il Comune di Altavilla che Carlo Bournique è stato invece trasferito ad Arezzo.
JEAN ALFREDO LOUIS. L’ANARCHICO. In una Altavilla bacchettona dove solo a don Ulderico era concesso di trasgredire le rigide regole sociali la bella moglie dell’anarchico Jean Louis Alfredo fece sognare molti. L’avvenenza di Anna De Leucia era particolarmente valorizzata dalla sua bravura di ballerina nelle serate organizzate presso la locanda di Peppina Marra e di Francesco Suozzo. Proviene dal mondo dell’anarchismo napoletano. E’ un italo – francese, figlio di Giusto Louis e Carola Musella. Ha 31 anni, sposato. Arriva ad Altavilla il 20 novembre del 1940, proveniente da Arezzo. Appena mette piede nel paese si reca presso il Municipio dove gli fu fatta firmare la solita dichiarazione con l’elenco di tutte le limitazioni al suo forzato soggiorno. Il 4 dicembre arriva la moglie, Anna De Leucia, a fargli visita. Il 23 gennaio del 1941, Jean Alfredo Louis, rivolge una istanza – forse una richiesta di espatrio- al Consolato d’America in Napoli. Il 7 febbraio il podestà Mottola, scrive alla Prefettura: “L’internato Louis Jean, che serba condotta irreprensibile, e sino ad oggi non ha dato luogo a lagnanze insiste continuamente acchè la propria moglie possa convivere con lui. Se non costano speciali disposizioni, ed in considerazione della buona condotta dell’internato, si prega di dare all’acclusa istanza esito favorevole”. Il 12 febbraio 1941 la Questura comunica che è stato interessato il Ministero per l’autorizzazione da lui chiesta per farsi raggiungere dalla moglie. Il 16 aprile del 1941, un telegramma del questore Palma, rende noto: ‘che è allo studio eventuale rimpatrio di cittadini francesi internati in Italia. Pregasi far subito interrogare cittadini francesi assegnati campi di concentramento di Campagna et quelli internati nei comuni in indirizzo se intendano o meno ritornare in Francia”. Jean Louis, rifiuta l’opportunità e dichiara che “non intende ritornare in Francia”. Jean Louis, resta ad Altavilla fino al 20 maggio del 1941.
DESIDERIO GRUNHUT. Medico – chirurgo, proveniente dal campo di concentramento di Campagna, giunge ad Altavilla il 15 novembre 1940, poiché ‘ebreo apolide’. stando alla prima qualifica appioppata dalla nota 4015 della Questura di Salerno, poi corretta in “ebreo ungherese’. Desiderio Grunhut – 43 anni, è nato a Rakospalata, è figlio di Isidoro e di Maria Stein. Arriva ad Altavilla con la moglie Elisa Guerrato ed una figlia di 13 anni. Il 21 dicembre ad Altavilla arriva anche un nipote di Desiderio Grunhut, è Raffaele Guerrato, residente a Roma in Via Lunigiana 6 int. l. Dichiara, a tal proposito, il podestà:’L’internato Grunhut mi asserisce che il proprio nipote si è qui portato per ragioni di salute ed intende rimanervi per un po’ di tempo. Poiché il giovane è sfornito d’autorizzazione e di documenti d’identità personale, ne informo codesta Questura Per eventuali provvedimenti’ “Da segnalare una lettera di Alfredo Leone, commerciante di Mercato San Severino, al Comandante la Stazione dei Carabinieri di Altavilla Silentina, ad appena una settimana dall’arrivo ad Altavilla, per dire che il Grunhut aveva lasciato presso di lui un conto in sospeso di 71 lire e che vista la corresponsione dell’indennità al confinato passa per il tramite di codesta stazione. Prego perciò volergli trattenere detta somma e cortesia di farmela recapitare”. Altri problemi al Grunhut furono provocati anche dal fatto di essere sposato con una cittadina italiana ‘ariana’. Scriverà infatti al podestà di Altavilla la Direzione Generale per la Demografia e la Razza del Ministero degli Interni: ‘non è possibile consentire il suo matrimonio con la cittadina italiana Elisa Guerrato, ostando l’art. 1 dei R. D. Legge 17 novembre 1938, XVII, n-1728’. Il 28 gennaio 1941 arriva anche il divieto esplicito ad esercitare l’attività di medico. ‘A far visita all’amico dott. Grunhut veniva con l’autobus, anche due volte alla settimana, lo psichiatra Marco Levi Bianchini, allora responsabile del manicomio di Materdomini di Nocera. Alto di statura, aveva la barba a forma di pizzetto. Ad un fanciullo altavillese dava sempre la mancia poiché questi lo aiutava a portare i pacchi e pacchettini…”. Testimonianza di Aniello Mazzeo
IL CONFINATO POLITICO COSTANTINO CATENA. Nei pensieri di Costantino Catena da Ancona, figlio di Bonafede, e della sua compagna Rosina Giarletta c’era sempre il mare. Simbolo di libertà e di spazi infiniti per i due irrequieti coniugi. Come dovettero adattare questa loro costante aspirazione, nomen – omen, dicevano i latini, con la monotona vita altavillese degli anni trenta, resta ancora oggi un mistero. Fosse o no un confinato, le carte non lo dicono o smentiscono, il fatto è che Costantino Catena per più di un decennio si àncora (ancora una volta il mare) al nostro paese, partecipa alla sua vita più intima e alla tragedia della guerra. Lavorerà alla costruzione della diga di Persano e poi si trasferirà ad Eboli. Cercò come potè, nelle convulse giornate del settembre del 1943, di far capire agli americani che ad Altavilla erano i benvenuti e che dovevano far cessare i distruttivi bombardamenti. Andò sul Muraglione a sventolare la bandiera bianca e “consegnò” in caserma (con il loro consenso) l’ultimo simulacro “fascista” ancora presente in paese: un paio di carabinieri.
PRESENZE DEGLI INTERNATI AD ALTAVILLA: Agosto 1940: Beniamino Keller e la figlia Regina Settembre 1940: Beniamino e Regina Keller Ottobre 1940: Beniamino e Regina Keller Novembre 1940: Beniamino e Regina Keller, Desiderio Grunhut, Jean Louis Dicembre 1940: Beniamino e Regina Keller, Desiderio Grunhut, Louis Jean Gennaio 1941: Beniamino e Regina Keller, Desiderio Grunhut, Jean Louis, Bernardo Zgur Marzo 1941: Beniamino e Regina Keller, Bernardo Zgur, Desiderio Grunhut, Jean Louis, Paolo Calea , Aprile 1941: Beniamino e Regina Keller, Grunhut Desiderio e Jean Louis Maggio 1941: Beniamino e Regina Keller, Desiderio Grunhut e Jean Louis
Il 22 maggio del 1941 il soggiorno degli ebrei ad Altavilla cessa. Le carte ci raccontano che tutti vengono destinati verso diversi paesi del Vallo di Diano. Quale fu il loro destino non è dato sapere. Ci piace restituire alla memoria collettiva la traccia del loro passaggio per Altavilla Silentina.
I FATTI DEL 1943
L’episodio dei confinati segnala ancora la marginalità di Altavilla rispetto alla grande tragedia della guerra mondiale in corso. Due anni dopo invece il paese diventa l’epicentro dell’operazione “Avalanche”, ovvero lo sbarco degli Alleati nella Piana di Paestum. Altavilla era “Quota 424” il livello altimetrico della collina che guarda a Paestum. Dall’11 al 17 settembre, la battaglia fu molto aspra in ogni parte del paese. I morti civili furono più di settanta, mentre un’intera ala del cimitero venne occupata dalle centinaia di salme di soldati americani e tedeschi. Furono giornate intensissime, ne seguì un bagno di libertà, ma alto fu il prezzo pagato per i bombardamenti e combattimenti che tanti morti fecero anche fra la popolazione civile. Fred. L. Walker, comandante della 36a divisione Usa, il 24 settembre del 1943 annota sul suo diario: «Sono passato di nuovo da Altavilla oggi. Le case sono distrutte, le strade sono bloccate dai detriti, c’è ancora puzza di cadaveri. Il bombardamento di questa città, piena di famiglie abbandonate, fu brutale, e senza alcuno scopo. La popolazione è poverissima, inconsapevole, molto religiosa; tutta immersa in un immane dolore, con il terrore sui volti». È il 24 settembre del 1943.
Il paese ha sempre stimolato i romanzieri. Piero Chiara si ispira proprio alla vicenda dei confinati politici ad Altavilla. Nel 1967 pubblica un romanzo, Il Balordo (Mondadori), che vince il Premio Bagutta. Il protagonista di questo splendido romanzo di Piero Chiara, il “Balordo” del titolo, è il musicista Anselmo Bordigoni, o Bordìga, un uomo candido e grosso — alto quasi due metri e con la faccia larga «quanto il tronco di un robusto bambino di cinque anni» — che vive come un fungo in un paese affacciato su un lago ai piedi delle Alpi. La totale apatia nella quale questa sorta di Gargantua ottusamente assente ha sempre vissuto viene però improvvisamente interrotta, ai tempi del fascismo, da una denuncia per malcostume che lo costringe al confino ad Altavilla Silentina. Qui, divenuto famoso per la sua musica, sarà costretto a seguire gli Alleati nella loro risalita della Penisola, punteggiando il suo cammino di improbabili trionfi, fino a ritrovare il paese dal quale era stato cacciato, dove verrà accolto in trionfo come perseguitato politico ed eroe di guerra, diventando il promotore — naturalmente involontario — di un magnifico esperimento di democrazia diretta. La sua avventura diventa così favolosa, ai limiti del grottesco, fino a riflettere l’ignominia e l’innocenza di un mondo avviato, di balordaggine in balordaggine, a consumare in modo sempre più dissennato sentimenti e valori. Il libro è ancora in vendita negli Oscar Mondadori e costa 7.80€. Segue Antonio Bennato con “Ho tirato i santi giù dal cielo”, edito da sempre da Mondadori, ha raccontato le storie del seminario e poi è seguita la saga dei racconti, editi da Moby Dick, di Francesco Di Venuta. Dall’esordio de “Il Fuoco della Malannata” all’ultima opera: “Torrida Festa”, un giallo ambientato durante la più lunga delle giornate che vive Altavilla: la festa di S. Antonio.