Bisogna dare una “missione” alla scuola media, la grande dimenticata del nostro sistema d’istruzione! Negli ultimi dieci anni, la scuola secondaria di primo grado non soltanto non è migliorata ma ha perso ulteriore terreno, risultando sempre meno attraente per alunni e insegnanti e cessando di rappresentare il ponte verso l’età matura, caratteristica che ha avuto fino all’innalzamento dell’obbligo scolastico e, in modalità diversa, dalla sua istituzione che risale agli anni ’60 del secolo scorso.
L’analisi dello stato in cui versa questo segmento importante della scuola italiana, che dovrebbe rappresentare il “trampolino” verso le scelte future (anche professionali) degli adolescenti, è firmata dalla Fondazione Agnelli che, a dieci anni di distanza dal primo Rapporto sulla scuola media del 2011, è tornata ad indagare sul “triennio di mezzo”, tra elementari e superiori, oggi più che mai simile a un limbo senza un chiaro obiettivo. Stando ai dati della ricerca 2021 (disponibile su www.fondazioneagnelli.it), la scuola media italiana è un luogo dove «gli studenti imparano meno dei loro coetanei europei e degli altri Paesi avanzati» e le «disuguaglianze sociali e i divari territoriali si accentuano rispetto alla scuola primaria».
Preoccupa soprattutto la «caduta dei livelli di apprendimento tra scuola primaria e scuola media: Stando a Timss (matematica e scienze), gli alunni italiani di quarta elementare raggiungono 515 punti, superiori alla media Ocse, mentre in terza media il dato scende a 497 punti, sotto la media dei Paesi industrializzati>>. Inoltre, si legge nel Rapporto della Fondazione Agnelli,”la scuola media non riesce a ridurre e spesso accentua disuguaglianze sociali, divari territoriali e di genere, differenze di origine già evidenti nei risultati della scuola primaria”.
Il divario diventa ancora maggiore per gli studenti figli di genitori con un basso titolo di studio (licenza elementare o media) e per chi vive nelle regioni Meridionali.
Sono solo il 67% degli insegnanti che restano da un anno all’altro, contro l’83% della primaria.
Già in prima media, secondo il rapporto, non più del 30% delle ragazze e non più del 25% dei ragazzi dà un giudizio “molto positivo” all’ambiente scolastico. Al termine della terza media, il pieno gradimento si riduce ulteriormente, non superando il 10%.
Lo studio rivela, inoltre, che gli studenti nel passaggio alla scuola media, strutturata con tante materie e numerosi insegnanti, «è pensata per studenti più grandi, quasi fosse un mini-liceo e non per preadolescenti».
Così, a partire dalla prima media, 4 alunni su 10 si sentono stressati dal carico di lavoro, condizione che, in terza, riguarda il 48,4% dei maschi e 56,9% delle femmine.
Anche tra gli insegnanti quasi il 30% è precario, quota che arriva al 60% del totale nel caso dei docenti di sostegno e, a dispetto delle attese, nonostante le numerose assunzioni in ruolo della legge della Buona Scuola del 2015 e il recente aumento dei pensionamenti, non si è verificato il ringiovanimento dei docenti di ruolo della secondaria di I grado: che veniva auspicato nel Rapporto: “52 anni nel 2011 e ora è poco di meno”.
Il modello educativo proposto scimmiotta le superiori che, a loro volta, interrogano e valutano calendarizzando in base allo scrutinio intermedio e finale.
Questo, collegato al fatto che 1 docente su 6 ha 60 anni e coloro che vanno in cattedra prima di 30 anni sono l’1%, non aiuta il necessario cambio di passo necessario per invertire la tendenza.
La scuola media, inoltre, è anche il grado di scuola più soggetto alla “giostra degli insegnanti”: da un anno all’altro soltanto il 67% dei docenti rimane nella stessa scuola (83% nella primaria, 75% nelle superiori, dati del 2017-18), con le prevedibili conseguenze negative per la qualità didattica».
Allora che fare?
La Fondazione Agnelli indica nella «valorizzazione degli insegnanti, rendendo l’insegnamento attrattivo verso i migliori laureati» una necessità impellente.
Ma anche «la didattica va modellata alle esigenze specifiche della scuola media», pensandola «come percorso di orientamento al futuro, attraverso strumenti e metodologie didattiche che favoriscano la valorizzazione delle inclinazioni personali e diano indicazioni per le scelte successive».
Infine, il Rapporto della Fondazione Agnelli «sostiene la necessità di un’estensione del tempo scuola alla secondaria di I grado, con la scuola del pomeriggio come scelta ordinamentale», con laboratori e attività sportive, artistiche ed espressive, musicali e coreutiche, teatrali. Invece, “non sembra invece necessaria, in questa fase – conclude il Rapporto – una ristrutturazione dei cicli che porti al superamento della media: se ne è parlato spesso, ma non c’è evidenza convincente che la riorganizzazione possa da sola, senza un intervento sulla qualità della didattica e dei docenti, portare a benefici significativi.
Eppure, a parere del sottoscritto, potrebbe essere proprio questo il “grimaldello” per aprire davvero una porta che per decenni è rimasta sempre chiusa ad ogni innovazione.
Ricordo quando fu bocciata la riforma immaginata da Luigi Berlinguer che si articolava nella legge quadro 10 febbraio 2000, n. 30 sul riordino dei cicli dell’istruzione superiore, e dalla legge 10 dicembre 1997, n. 425 che modificò la disciplina dell’esame di maturità in Italia; ambedue le norme vennero poi abrogata e sostituita dalla riforma Moratti del 2003. Nelle intenzioni, la norma del 2000, avrebbe dovuto operare una modifica strutturale dell’insegnamento scolastico, articolato in tre cicli: – la scuola dell’infanzia; – il ciclo primario (scuola di base), esteso a sei anni, suddivisi in tre bienni, al termine di ognuno dei quali era prevista una prova di valutazione. La valutazione finale assumeva valore di esame di stato; – il ciclo secondario, esteso a sei anni – il primo dei quali, introduttivo, comune a tutti gli indirizzi – e articolato in sei differenti aree: umanistica, scientifica, tecnica, tecnologica, artistica e musicale e concluso da un esame di stato che assumeva la denominazione dell’area e dell’indirizzo. Nel secondo e terzo anno e finanche dopo l’esame conclusivo del primo triennio, allo studente era garantita la facoltà di cambiare indirizzo, mediante l’attivazione di apposite iniziative didattiche che gli consentissero l’acquisizione di un’adeguata preparazione a quello nuovo scelto. Al termine del terzo anno, che concludeva anche l’obbligo, era previsto un esame, introduttivo al triennio finale, in cui l’offerta formativa era maggiormente caratterizzata in ordine all’indirizzo scelto. Ma prima della ministra Letizia Moratti la riforma fu affossata dalla levata di scudi dei sindacati degli insegnanti, tranne la Cgil, che sopraffatta dalla protesta, si accodò al coro dei “no”.