Come succede in tanti settori dei servizi alla persona, anche i servizi sanitari si devono confrontare con i fruitori dei servizi.
Quando si tratta di emergenza possiamo dire che le procedure, per lo più standardizzate i protocolli ben precisi, sono generalmente buone e tutelano i pazienti e medici impegnati nelle prestazioni.
Quando entriamo nel mondo dell’assistenza il quadro si fa più cupo sia relativamente ai risultati sia relativamente alla possibilità di all’accesso, alle prestazioni e alla loro efficacia.
Ciò che scarseggia è la prevenzione dei possibili disagi ai quali vanno incontro malati e loro familiari che devono fare i conti una generalizzata indifferenza ai destini delle persone.
Ma andiamo con ordine…
Il giorno 2 di settembre riesco a prenotare presso un centro privato, dopo aver inutilmente tentato di farla al Cup dell’Asl, una Tac prescritta a mia madre al momento delle dimissioni dall’ospedale San Luca di Vallo della Lucania nel mese di giugno 2020.
Ritirato il referto con relativo Cd e, previa telefonata sempre al Cup, mi reco in ambulatorio di chirurgia al San Luca, ritiro il numerino e resto in attesa del mio turno. Richiamato da un infermiere, entro nella stanza dove siede e dietro una scrivania il dott. di turno assistito dallo stesso infermiere. Consegno al dottore il referto di dimissione dal reparto di chirurgia in cui era prescritto un confronto tra la Tac fatta al momento delle dimissioni e l’altra fatta in ritardo a causa dell’impossibilità trovare un posto dove farla nel mese di agosto. Il dott. legge tutto e poi mi chiede “dov’è la paziente”?. Rispondo che dovendosi fare un confronto tra due Tac ho evitato di sottoporre mia madre ad un viaggio di 80 Km (a, e R.) dal paese a Vallo visto il caldo e le sue condizioni di salute ancora precarie oltre all’età avanzata.
Mi viene risposto di tornare con mia madre in quanto potrebbe rivelarsi necessario aspirare il liquido pleurico versato ancora presente.
Mi rassicura che il suo collega di turno il venerdì successivo avrebbe senz’altro fatto il confronto e visitato la paziente.
Nel tornare a casa comunico a mia madre di questo cambiamento e della necessità di andare in ospedale.
Di buon ora, il venerdì parto da Roccadaspide, arrivo a al paese, prelevo mia madre e ci rechiamo a Vallo. Saliamo al 7 piano, ritiriamo il numerino e ci mettiamo in religiosa attesa del nostro turno che arriva alle 12:30.
Entriamo al cospetto del dott. di turno al quale riferisco il tutto. Lui si inalbera dicendo che è passato più del mese previsto per il controllo, pertanto lui non può farci niente.
Gli indico mia madre che è arrivata fino a Vallo in una giornata con la temperatura che supera i 30′ e che eravamo lì in base a quanto detto dal suo collega.
Lui accampa altre scuse e scribacchia un referto sul quale indica che la paziente deve essere visitata da uno pneumologo.
Di fronte ad un ulteriore rimostranza, in fondo si tratta di un confronto fra due immagini disponibili su CD, l’una, e in radiologia, l’altra, mi invita ad andare dal primario del reparto …
Aiuto mia madre ad alzarsi, usciamo umiliati dalla stanza sotto gli occhi confusi dell’infermiera, ci infiliamo nell’ascensore e usciamo dall’ospedale. In auto, già sulla strada del ritorno decido di chiamare il cardiologo che controlla mia madre periodicamente. Gli illustro la situazione è lui mi consiglia di fare richiesta del Cd con la Tac depositata in ospedale e poi di andare da lui per il confronto.
Torno indietro e salgo al reparto radiografia; chiedo copia della Tac … il tempo di scendere a Pagare il ticket e tornare e la copia è pronta.
Accompagno mia madre a casa dove, stravolta per il viaggio e umiliata per il trattamento, si addormenta per recuperare le forze.
Il martedì successivo mi reco dal cardiologo che in 5′ carica i Cd sul computer, confronta le due Tac, me le mostra facendomi notare che il liquido pleurico si è sensibilmente ridotto rispetto al giorno delle dimissioni. Pertanto, mi invita a chiamare mia madre per rassicurarla sul suo stato di salute.
Morale della storia: a chi ha giovato far percorrere il “calvario” ad una donna di 84 anni?
Perché due medici hanno scaricato una precisa responsabilità professionale sulle spalle di altri soggetti quando in 5′ potevano dare risposte veloci e puntuali ad una persona debole e sofferente?
Perché il “servizio” sanitario, per loro demerito, ha dovuto perdere una buona occasione per presentarsi con il volto umano nei confronti di chi gli è stato affidato?
Questa pubblica denuncia non ha lo scopo di mettere alla “gogna” l’intero sistema sanitario che ha in sé tante persone degne di vestire il camice bianco. Ma per far capire come sia facile rendere la vita difficile alle persone pur richiamandosi al rispetto di regole che dovrebbero garantire chi è più debole e non essere brandite per consentire ai più forti di sopraffarli.
Sarebbe importante che il direttore sanitario del San Luca e il direttore generale dell’ASL Di Salerno, dopo aver fatto i necessari e scrupolosi accertamenti, facessero notate ai protagonisti in camice bianco che la “qualità non si può definire, ma quando là si incontra la si riconosce!”
Come è impossibile restare indifferenti davanti alla presunzione di impunibilità che, come una cortina di ferro, la gestione burocratica della sanità, riconosce a questi addetti al “non lavoro” scrupoloso che praticano quotidianamente tradendola missione alla quale avevano giurato di votarsi.
biesse