La prima edizione della Sagra del Fusillo felittese si svolse nel 1976, avvolta in una vera e propria aura di leggenda. La prima location fu la suggestiva oasi del fiume Calore in località Remolino, e negli anni si è poi trasferita al centro del borgo, irradiando la sua luce festosa in tutto il nucleo del paese. Il Fusillo ha origini antichissime, si dice che sia nato durante un assedio del XVI secolo, quando il comandante ordinò alle donne del posto di preparare qualcosa utilizzando i pochi ingredienti che avevano a disposizione, ossia uova, farina e acqua. Ogni anno la Sagra del famosissimo formato di pasta felittese attira un numero ingente di visitatori e turisti, richiamati dalla tradizionale formula che prevede sia il pranzo che la cena, e invogliati a trascorrere una giornata anche tra l’oasi del fiume Calore e la piscina comunale del paese. È possibile gustare il fusillo con il consueto ragù di castrato, col ragù di vitello o anche nella formula al forno in tegamino, con mozzarella filante: c’è inoltre un abbondante antipasto, secondo come la trota del fiume ai ferri e la carne alla brace, con contorni di patatine fritte e il tradizionale ciaulieddu. Ma il fusillo non è soltanto un tema da affrontare nei convegni. Non è soltanto un riempirsi la bocca dei soliti concetti, il fusillo è la materia viva e scottante che entra direttamente nelle vite delle donne felittesi, fin dall’infanzia.
Parlando con varie signore felittesi, è singolare il ritratto che ci consegna. C’è chi ci racconta di quel periodo in cui suo marito operaio era rimasto senza lavoro. L’unica alternativa possibile era sferruzzare su quel piano da lavoro di legno, in quella cantina, “cinguliare” con quei ferri che sembravano essere la sola via d’uscita. Nella lavorazione del fusillo si riservava non solo la passione, ma anche il senso di necessità e bisogno. Del resto la formazione delle donne di una volta, iniziava proprio con l’arte del fusillo, fin dall’infanzia, proprio come un rito d’iniziazione. C’è chi racconta di aver iniziato a produrre sempre più fusilli al giorno, di passare le ore vicino allo “scannaturu”, fino a rendersi le mani callose. Sono tante le storie legate al fusillo, e ogni massaia felittese ne ha una: è il caso della signora A. Prima ha iniziato a venderli privatamente, poi ha deciso di unirsi a uno dei laboratori artigianali di Felitto. La mole di lavoro si era fatta sempre più ingente tanto da dover chiamare anche altre “compagne” per soddisfare le richieste. Per non parlare della signora P., che ci racconta che quando vuole rendere felice un’amica o una parente, le porta come dono dei fusilli, senza vergognarsene affatto. Per molte donne di Felitto, fare i fusilli rappresenta l’unico svago. L’unica distrazione. Sono state strettamente educate a fare i fusilli, tanto che alcune, proprio come la signora P. di cui prima, affermano di trovare in ciò l’unica competenza da esprimere. Alcune trovano nella produzione dei fusilli l’unico modo per “sbariare” con la testa, scambiare qualche chiacchiera con le compagne e far respirare la mente. Alcune hanno mantenuto i figli con i fusilli, alcune hanno elaborato lutti, traumi, delusioni private e separazioni dolorose sferruzzando.
Ognuno ha il proprio modo di metabolizzare, esiste anche chi, non avendo proprio come sfogare i propri dispiaceri, trasferisce la propria sensibilità in quest’arte. Tutto ciò fa sempre parte di quel serbatoio di cultura contadina, che come una seconda pelle continua ad avvolgere i nostri borghi rurali e ad esprimere linfa vitale. Ciò sembrerà strano o curioso dall’esterno, ma fa parte di quell’humus, di quel substrato che è la storia viva e quotidiana. Nella produzione del fusillo c’è la storia delle nostre massaie, c’è la loro vita, dall’infanzia fino alla morte. C’è l’impronta di quelle mani callose che non smettono mai di raccontare la loro storia.
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