Non è certamente facile scrivere e commentare quello che è accaduto in poco più di un mese nel mondo bancario italiano.
Sono note a tutti le notizie che hanno interessato i provvedimenti del Governo relativi alle banche popolari più grandi in termini di attivo patrimoniale.
Dietro questo primo passaggio riformatore però vi era ben altro: vi era qualcosa che è stato temporaneamente messo da parte e che riguardava il mondo del credito cooperativo.
Occorre fare una premessa, altrettanto importante, che mette in luce due cose fondamentali. In primo luogo, che nell’attuale scenario bancario le iniziative legislative o le spinte riformiste provengono non solo dagli organi italiani, ma anche da soggetti comunitari (vedi BCE) ed internazionali (vedi Fondo Monetario Internazionale); in secondo luogo, nel mondo del credito cooperativo era diffusa la consapevolezza che qualcosa doveva prima o poi cambiare, considerando che delle circa 400 BCC alcune negli ultimi tempi hanno dimostrato importanti problemi di tenuta, influenzando comunque l’intero movimento.
Ritornando alla riforma delle popolari ed a quello che stava accadendo, in maniera molto silenziosa, per quasi la totalità delle BCC, fatta eccezione per qualcuna vicina ai vertici di ICCREA (istituto centrale delle BCC) e FEDERCASSE (Federazione Nazionale delle BCC), nulla e sottolineo nulla era trapelato.
Un’operazione definita un vero e proprio golpe.
Ma cosa era contenuto in questo provvedimento riguardante il credito cooperativo?
Senza scendere nei dettagli di questo decreto che stava per essere approvato dal Consiglio dei Ministri, si può agevolmente affermare che il provvedimento conteneva la totale cancellazione dell’attuale struttura del sistema del credito cooperativo italiano, cioè le circa 400 BCC avrebbero dovuto cedere la loro autonomia rientrando in un unico grande gruppo bancario nazionale che avrebbe rilevato tutti i poteri propri di una banca di credito cooperativo.
Che cosa vuol dire?
Vuol dire che da Roma sarebbero state dettate le linee strategiche ed operative di 400 istituti di credito che sarebbero divenuti meri esecutori di ordini provenienti dall’alto senza più essere al fianco del territorio, cancellando secoli di storia, abbandonando obiettivi di crescita e di sviluppo, annullando il sostegno concreto all’economia, alle persone, al sociale dei territori di competenza.
Una manovra che avrebbe inciso in maniera netta sulle sorti dei territori italiani, soprattutto, quelli meno ricchi, quelli dove le BCC hanno trainato l’economia delle famiglie e delle piccole e medie imprese, quell’economia che mai è stata all’attenzione dei grandi soggetti della finanza.
Un modello che avrebbe ridisegnato dalla sera alla mattina la geografia bancaria e l’operatività di milioni di italiani.
L’utilizzo del condizionale rappresenta la speranza racchiusa dentro il cuore e la mente di chi ha fatto della cooperazione e della mutualità una ragione di vita, nella speranza che il modello del gruppo bancario possa essere rivisto in maniera attenta e, soprattutto, tutelando realtà che, seppur piccole, rappresentano eccellenze delle diversità bancaria e della libera iniziativa economica promossa dalla Costituzione Italiana.
In seguito al temporaneo accantonamento di quel documento si sono succedute diverse situazioni che hanno permesso di capire qualcosa in più rispetto a quello che stava accadendo.
La Banca d’Italia di punto in bianco definiva le BCC come banche influenzate da favoritismi morali dovuti alla grande vicinanza e dipendenza con il territorio, FEDERCASSE che proponeva alle parti un’autoriforma discutibile nei contenuti e, soprattutto, nelle modalità di definizione, insufficiente diffusione di notizie da parte di ICCREA e FEDERCASSE quasi a voler tener calmi e tranquilli tutti, facendo trovare già la tavola ben apparecchiata.
Nel frattempo, il Ministro Padoan dichiara, per fare chiarezza, che le BCC non sono saranno oggetto di alcuna riforma.
E arriviamo agli ultimi giorni dove, vista l’indifferenza di chi dovrebbe tutelare il sistema da soprusi ma che invece è interessato solo a mantenere con forza le proprie posizioni di potere a danno delle BCC, dei lavoratori, dei soci, dei clienti e dei territori, abbiamo voluto far sentire la voce di chi non ci sta, iniziando una battaglia, che forse non porterà alcun risultato, ma sicuramente farà comprendere a tutti il grave rischio che stiamo correndo.
In questo frangente tutti siamo in attesa di ulteriori novità per capire quale sarà il nostro futuro, ma abbiamo deciso di non attendere con le mani in mano, bensì di far sentire la nostra voce, insieme a tantissime consorelle che condividono idee e valori.
Il mese di marzo sarà forse decisivo per capire anche come reagirà il Governo, il quale forse intende passare la palla al credito cooperativo per poi intervenire autonomamente seguendo quanto dettato a livello comunitario ed internazionale.
Staremo a vedere, ma nel frattempo abbiamo iniziato una battaglia di civiltà per far valere i nostri diritti e tutelare il territorio sempre con lo stesso impegno, la stessa serietà, orgogliosi di essere Banche di Credito Cooperativo.