Soltanto per inquadrare nel tempo il piccolo spaccato di vita seminariale di 56 anni fa che intendo ricordare, faccio presente che sono stato alunno del Seminario Arcivescovile di Vallo della Lucania dal 1951 al 1955 (e cioè dalla seconda media al quinto ginnasio). Tra i professori mi ritornano alla mente Borrelli (francese), Panzuto (latino), Signorelli (matematica), don Rocco De Leo (rettore e prof. di greco). Due o tre momenti della giornata trascorsa in seminario erano rappresentati dalla “RICREAZIONE”. Durava in tutto dieci minuti e si svolgeva in un lungo corridoio adiacente alle aule di studio e prospiciente, con varie finestre, sull’ingresso e, quindi, sulla strada. Quella che, però, chiamavano “ricreazione” costituiva in realtà un vero tormento per le restrizioni e i divieti che qui, di seguito, vengo ad esporre: non si poteva parlare soltanto in due persone perché era “amicizia particolare”; non ci si poteva rincorrere ed acchiappare perché erano “scherzi di mano”; non si doveva guardare fuori la finestra, perché poteva passare qualche ragazza e suscitare in noi pensieri poco casti; non si poteva toccare il muro perché un eventuale graffio, o macchia, a fine trimestre, faceva arrivare a casa una bolletta con “guasti e rotture” e Dio solo sa se i nostri genitori potevano permettersi “il lusso” di pagare “spese straordinarie”; non si poteva parlare in dialetto perché circolava “l’anello” e il malcapitato che non era riuscito a passarlo, all’ultima ricreazione rimaneva “in silenzio e faccia al muro”. I recidivi subivano punizioni più pesanti, come “in ginocchio al refettorio e senza frutta”, “in ginocchio al refettorio e senza secondo”, “in silenzio, in ginocchio e faccia al muro” all’ultima ricreazione. Ricordo che una volta i più grandi, quelli di quinto ginnasio (la camerata S. Luigi), si misero d’accordo di trascorrere una ricreazione per ciascuno con la faccia al muro per parlare liberamente in dialetto. Don Rocco però origliò, intuì, indagò e, prima che andassero a letto, li fece transitare singolarmente per la Direzione e, facendo alzare a loro stessi la propria veste talare, li passò a “fil di volpile”. Ho voluto riportare quando ricordo non per dire male di un’istituzione che, comunque, mi ha formato ed istruito, ma semplicemente per mettere a confronto i metodi rigidi di una volta con quanto è, oggi, sotto gli occhi di tutti.
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