La recente letteratura esegetica circa la ricerca su Gesù è frutto di sofisticati metodi di analisi delle fonti evangeliche e della tradizione. Molti risultati sono stati riportati tra le righe della trama romanzata di Didimo. Nel primo capitolo, ad esempio, viene riproposta la riflessione circa lo sconcerto che determina l’esperienza della morte di Gesù e la reazione alle prime voci sulla tomba vuota. La fuga di Tommaso non è soltanto fisica, ma anche mentale rispetto ad una vicenda che risulta di difficile comprensione. Nel terzo capitolo si affronta il problema dei tradimenti e dei traditori: chi e quanti sono stati, se ne descrivono le modalità. Nel quarto Didimo inizia la ricerca accompagnato da Giovanni in un pellegrinaggio a ritroso verso i luoghi che hanno visto prepararsi e poi realizzarsi la tragedia, evocata nel capitolo successivo anche se, per una sorta di pudore reverenziale, la crocefissione è descritta facendo riferimento ad un altro condannato. In tal modo si risponde ai tanti interrogativi circa le modalità per conciliare la fuga degli apostoli, impauriti, e il racconto della passione. Il capitolo relativo ai ricordi di Maria intende presentare il locus teologico della Madre della Chiesa e tentare di descrivere come concretamente ha funzionato la tradizione intorno alla vita e ai detti di Gesù: un tramandare come risposta ai quesiti posti da chi sentiva il bisogno di percepire concreta e vicina la salvezza. Tanti episodi riportati sostituiscono le note a piedi pagina circa i riferimenti documentari. In questo modo sono stati trattati, ad esempio, i problemi relativi al vangelo di Giuda, citato diffusamente proprio mentre si abbozzava il relativo capitolo, si è riproposto quello di Tommaso, del quale vengono citate senza virgolette alcune espressioni, o si evocato il vangelo in ebraico scritto da Matteo e andato perduto.
I riferimenti sono stati inseriti per dare conto del perché del titolo: un romanzo basato sull’esegesi dei vangeli, tentativo letterario di presentare la tradizione su Gesù considerando gli orientamenti del lettore nel XXI secolo, che ama conoscere in poche pagine una storia, e sollecitare una coscienza che pone domande e trovare risposte, un modo virtuale di dare radicamento a chi nella società liquida è alla ricerca di un ruolo e con determinazione vuole individuare il senso della propria esistenza.
Queste problematiche e il modo di procedere dell’esegesi più moderna e attendibile hanno trovato una autorevole dimostrazione in riferimento all’infanzia di Gesù, tema molto delicato relativo ai primi due capitoli dei vangeli di Matteo e di Luca, in tutto 180 versetti, che hanno ispirato la cultura occidentale in tante manifestazioni di arte e di religiosità. Nel suo saggio su questo tema Benedetto XVI è consapevole delle difficoltà alle quali sarebbe andato incontro nell’avviare il “dialogo con i testi”, aggiungendo che il “colloquio nell’intreccio tra passato, presente e futuro” non sarà mai definitivo perché soggetto all’interpretazione, la quale si colloca sempre un passo “indietro rispetto alla grandezza del testo biblico.” Ma il papa emerito ha sentito la necessità di fare chiarezza per dimostrare che nelle ricerche storico-critiche la figura di Cristo non risulta indefinita perché si conoscerebbe poco del Gesù storico, mentre l’immagine che si è diffusa sarebbe condizionata da quanto in seguito ha sviluppato la fede in Lui. Su questo tema e dopo una vita di studi papa Ratzinger proclama che, se l’interpretazione della Bibbia richiede la fede, ciò non significa minimamente minare la serietà scientifica della ricerca storica. La premessa aiuta a verificare se quanto riporta il testo sia vero e, soprattutto, se sia in grado di coinvolgere, se ci riguarda inducendo a mettersi in discussione perché il quesito sul rapporto tra passato e presente è parte integrante dell’interpretazione e, quindi, non inficia la serietà della ricerca, ma l’accresce. “Gesù è nato in un’epoca determinata con precisione”; nessuno può più smentire che: “Egli appartiene ad un tempo esattamente databile e ad un ambiente geografico esattamente individuato: l’universale e il concreto si toccano a vicenda” scrive Benedetto XVI.
Fin dalla prima predicazione, facendo riferimento all’euagghellion, genere letterario nel quale una parte determinante é rappresentata dal marturion, i cristiani s’impegnano a celebrare il servizio di Dio declinandolo con quello alla verità e dei fatti storici raccontati per essere tramandati. Fin dagli inizi, la tradizione che si va formando tiene in gran conto la certezza e l’esattezza delle notizie diffuse oralmente; quindi, fin da principio le si attribuisce una precipua esattezza, non contrassegnata dai canoni della storiografia greca. Ecco perché anche sotto il profilo della storia delle forme si ha il convincimento di essere molto vicini ai racconti delle tradizioni giudaiche, concordando nel sostenere che gli Evangelisti non presentano marcati influssi o stimoli provenienti dalla tradizione della lingua e del modello greco. Un evidente contatto lo si rinviene invece nei due prologhi di Luca, specie in Atti. La preoccupazione che emerge è inserire la vicenda di Gesù nella storia contemporanea e, per realizzare ciò, egli attinge alla tradizione più dei predecessori, elimina racconti troppo popolari e, ovviamente, usa un greco migliore; tuttavia, anche se conosce il genere, non trasforma il vangelo in una biografia di Gesù. Anche Paolo si è interessato molto della tradizione non essendo indifferente alla storia di Gesù; come del resto il vangelo di Giovanni, non alieno dal porre attenzione al genere. Non solo fornisce dati che, secondo la critica, risultano molto più accurati di quanto si possa dedurre dai sinottici, ma caratterizza meglio i personaggi, attento a cogliere gli umori della massa, a delineare i contorni delle situazioni che si sperimentano, elementi che convergono nell’attestare che l’autore di questo vangelo è un uomo di talento. Solo Luca dimostra effettiva familiarità con la storiografia greca, fenomeno isolato nel cristianesimo della prima generazione. Ciò non toglie che questi scrittori contribuiscano a definire con chiarezza i punti salienti della Storia della Salvezza, la oichonomia del Nuovo Testamento pianificata da Dio per rispondere al bisogno di redenzione dell’uomo.
Si tratta di un piano saldamente inserito in un contesto nel quale si sperimentano avvenimenti cronologicamente determinati segnalati come kairos. E’ il tempo proprio dellaSalvezza che scandisce nel passato, nel presente e nell’avvenire momenti di redenzione tra loro concatenati tramite collegamenti logici, teologici ed esperienziali quando diventano l’ora, tempo dell’azione divina legato alla storia e opportuno per diffondere la grazia, scansione temporale che esalta Cristo, Parola di Dio. E’ una concezione lineare che il cristianesimo primitivo eredita dal giudaismo e con essa supera la scansione circolare dell’ellenismo, che lega l’uomo al suo destino in una condizione evocata dalla maledizione del mitico Sisifo, che rende inconcepibile la possibilità della liberazione come atto di Dio nella storia. Nel Nuovo Testamento la linea ieri-oggi-domani consente di porre in essere un progressivo itinerario volto verso una meta finale.
Di questo disegno Cristo costituisce il punto fisso: il prima e il dopo perché in lui tempo e storia della Salvezza sono destinati a incontrarsi, realizzazione completa che trasforma lo svolgersi della vicenda umana in una scansione temporale tra risurrezione e parusia, concezione che non ha riscontri in altre religioni. Ecco perché la Pasqua costituisce il centro di una linea che non propende verso un futuro incontro col Messia veniente, come asserisce il giudaismo, ma è fatto storico realizzato nella vita e nell’opera di Gesù, la cui esperienza della croce e la cui risurrezione costituiscono l’evento decisivo. Nella storia del cosmo nessun momento del passato o dell’avvenire ha un’importanza simile perché questo evento orienta il tempo e conferisce senso alla creazione. Affidarsi con fede al suo decisivo passato costituisce una effettiva partecipazione alla redenzione per l’abbandono fiducioso alla misericordia di Gesù, il Cristo, nel quale coesiste il già compiuto che si travasa nel non ancora dell’uomo in Lui definitivamente attuato. E’ l’ora di Giovanni: il già, ma anche eskhatos, feconda speranza nel futuro, centro che illumina la linea del passato per cui la storia acquista significato cristologico.
La rivelazione si realizza tramite eventi ben delimitati nel tempo considerando anche la risposta dell’uomo; non a caso costante nella Scrittura é l’intreccio tra fede e incredulità, fedeltà e rifiuto. Sin dagli inizi, la fede nella salvezza non si snoda in un racconto mitico; é sempre storico, legato a determinati avvenimenti. La predicazione di Gesù riportata dai sinottici si concentra sulla vicinanza del Regno, perno del vangelo di Giovanni. L’annunzio si fonda sulla Storia della Salvezza con la precisazione che la basileia non è una condizione, territorio delimitato da confini, ma l’agire di Dio che fa valere la sua volontà e, quindi, interviene attivamente nella storia. L’irruzione della Salvezza è il momento storico che esalta questo Regno, presentato da Gesù non come trascendente, ma realtà storica già iniziata, che troverà il suo ultimo compimento nell’eternità. Questa tensione si travasa nella chiesa, orientata verso la perfetta basileia, esigenza di conversione e di ubbidienza voluta da Gesù per cogliere la connessione tra tempo dellapromessa e del compimento. Egli pone la sua opera nella cornice storico-salvifica dell’economia divina.
Fra le più antiche formule di fede cristologica della chiesa primitiva è riportata l’affermazione: Gesù di Nazareth è il Messia, è l’Unto di Dio promesso nell’Antico Testamento che inaugura il tempo della salvezza; quindi Gesù, il Cristo, viene fin dagli inizi presentato in una prospettiva e con un senso sempre storico-salvifico fornendo alla Storia della Salvezza una interpretazione alla luce di Cristo, promessa, preparazione e realizzazione.