A conclusione dell’anno scolastico 1954-55 le domande di ammissione in seminario incominciano a diminuire. “Eravamo abituati,” scrive mons. Savarese, “a vedere moltiplicarsi le vocazioni senza troppa fatica.” Ci si accorge che, per il passato, il seminario si riempiva perché era stato l’unico punto di riferimento per chi voleva studiare. E quando lo Stato istituisce in tanti paesi del Cilento le Scuole Medie le domande di ammissione in seminario diminuiscono in maniera paurosa. Già al momento dell’inaugurazione della nuova cappella nel 1952 mons. Savarese dice di avere affrontato tanti sacrifici perché il seminario non è un Istituto qualsiasi, ma va inteso, soprattutto, come un ambiente in cui si formano i giovinetti aspiranti al sacerdozio. “Il reclutamento delle vocazioni,” scrive il vescovo, nello stesso anno, in una notificazione al clero è il problema più urgente che deve essere assolto dai sacerdoti che hanno il compito, come dispensatori dei misteri di Dio, di suscitare novelli sacerdoti. Ogni sacerdote deve gustare la gioia della paternità spirituale quando avrà dato alla Chiesa un altro sacerdote. Egli deve pregare e vegliare sui giovani della parrocchia. E sarà lieto “anche se uno solo fra i tanti suoi seminaristi arriverà al sacerdozio”. Dalla metà degli anni Cinquanta è il vicerettore, don Giovanni D’Angiolillo con il prefetto d’ordine di turno a portare avanti il gravoso compito della formazione dei ragazzi. Il rettore, che ha avuto la cattedra di greco al Liceo Statale, divide la sua giornata tra il seminario e il Liceo “Parmenide”. Dal Bollettino Diocesano arrivano parole forti, da parte del vescovo, contro i parroci che, ancora, non riescono a mandare un alunno in seminario. Le cause della flessione, dice il vescovo, vanno ricercate nella crisi della famiglia”, che è attraversata da mille folate pericolose: giornali, riviste e radioaudizioni traboccanti di mondanità, conversazioni aperte ad ogni più incontrollata tendenza, spesso, invereconda delle donne e linguaggio blasfemo e sboccato degli uomini. Da tutto questo deriva una concezione materialistica della vita in cui evidentemente l’ideale sacerdotale sembra un non senso. Il parroco non per questo deve incrociare le braccia dinanzi al calo delle vocazioni come se nulla vi fosse da fare. Anzi ci deve essere un lavoro più intenso per una concreta e decisa opera di risanamento religioso, morale e spirituale delle nostre popolazioni. “E se è vero” continua mons. Savarese, “che la vocazione è una chiamata da parte di Dio è altrettanto vero che non dovrà mai cessare lo sforzo dei parroci per preparare dei soggetti suscettibili di vocazione sacerdotale. E quando una vocazione sboccia nella parrocchia il parroco deve fare di tutto per trapiantarla in seminario. In quest’opera di rinascita i superiori del seminario non si risparmiano. E mons. Savarese prima di rendere la sua anima a Dio, nel 1955, premia l’azione solerte, intelligente e silenziosa del vicerettore, don Giovanni D’Angiolillo, nominandolo canonico della cattedrale. Con la morte di mons. Savarese, avvenuta il 5 ottobre 1955, si conclude un’epoca di circa un decennio durante la quale il seminario era stato “la pupilla degli occhi del vescovo, cuore pulsante della diocesi, centro di convergenza di tutto l’affetto dei buoni”. Mons. Savarese era stato sapiente giardiniere e coltivatore esperto di quelle piantine trapiantate in seminario in seguito alla chiamata del Signore: vieni e seguimi. Il seminario fu il suo tormento e la sua corona e nulla fu trascurato: riunioni, relazioni, impostazioni programmatiche, convegni di zelatori e zelatrici al centro e nelle plaghe, organizzazioni dei “Piccoli Amici” e dell’Associazione dei Chierichetti, consigli parrocchiali, segreteria diocesana, celebrazione della Giornata mensile sacerdotale e, soprattutto, idee chiare da parte del vescovo sulla natura e nobiltà del sacerdozio e preghiera al Padrone della messe. C’era stata per il seminario anche una boccata di ossigeno da un punto di vista economico. Con i soldi dell’OVE il rettore del seminario, addirittura, aveva avuto la possibilità di provvedere all’impianto delle docce in seminario per i seminaristi e al rinnovo dell’arredamento. Gli studi furono arredati di bellissime scrivanie e le aule scolastiche di banchi e di cattedre dalla ditta Olindo Rossi di Novi di Modena. Come pure i dormitori furono dotati di eleganti armadi metallici, comodini, sgabelli e letti dalla ditta Portalupi di Milano. Chi curò i rapporti con le ditte, seguendo passo passo anche l’installazione del mobilio fu il vicerettore, che ancora oggi va fiero di quell’investimento. E giustamente, perché quell’arredamento resiste ancora al tempo e sembra non avere risentito dei tanti traumi subiti in cinquant’anni.
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