Ci riteniamo cristiani, ma siamo costretti a specificarne la qualifica ricorrendo ad aggettivi del tipo “anonimo, inconsapevole, incoerente, dormiente”, etc. Del resto, da tanti, da troppi si ritiene che il XXI secolo ci abbia liberati dalla paura del divino, relegato in un iperuranio esorcizzato da tanti guru, profeti del “politically correct”. Ma, se osserviamo il mondo che ci circonda, sembra quasi che esso si riconosca nella famosa terzina con la quale Dante inizia la sua commedia. Il globo, tormentato dalla pandemia, appare sempre più una “selva oscura”, mentre si è smarrita la “dritta via” per cui descrivere il nostro quotidiano è “cosa dura”, il solo “pensier rinova la paura!”. Di conseguenza si reagisce chiudendosi a riccio all’interno della propria solitudine esistenziale. A mancare è soprattutto la necessaria dose di etica della responsabilità pubblica, prevale un insidioso e sterile egoismo sociale, responsabile di un minaccioso e devastante sonno della fraterna sensibilità. Si dimentica che non è possibile delegare totalmente agli altri. Si richiede un impegno diretto e collettivo; ognuno deve fare la sua parte perché in un frangente come l’attuale un gesto partecipe non risulterà mai indifferente ed insignificante.
I grandi della terra, allarmati dalla situazione, sentono la responsabilità di porvi riparo. Ad esempio, di recente si sono riuniti per discutere circa l’eventuale liberalizzazione dei brevetti dei vaccini per combattere la pandemia nel mondo. Tutti asseriscono che da questa contingenza ci si salva solo se tutti possono beneficiare di cure adeguate. Ma sembra che a prevalere sia sempre l’interesse e l’utile di pochi; infatti, anche in questa circostanza sono emerse titubanze nonostante lo stesso buon senso invita a praticare la generosità pur se motivata da altruismo interessato.
Una alternativa non frutto di sdolcinato irenismo, ma stimolo ad un concreto impegno è fornita dalla liturgia della Parola proclamata nelle domeniche di Pasqua. È stato costante l’invito a riflettere sull’amore, convinti che la Resurrezione può portare frutti solo se motore della vita diventa l’invito del Risorto a incontrarlo nella Galilea delle Genti, cammino vittorioso dell’uomo nella storia se è capace di condividere il sentimento di fraternità e rinverdirne il desiderio.
Gesù è vissuto dimostrando che «la misura dell’amore è di amare senza misura»; manifesta verso il prossimo un amore gratuito e totale anche quando appare umanamente incomprensibile o impossibile. È la novità radicale del Risorto, che invita a superare ogni muro, considerare un centurione degli odiati romani membro dei «timorati di Dio», come racconta la prima lettura proclamata domenica scorsa. Cornelio diventa un fratello nella fede perché lo Spirito elimina le barriere. La Chiesa ne deve prendere atto ed i cristiani agire di conseguenza.
Nella seconda lettura, Giovanni ci partecipa la rivoluzionaria possibilità di divenire figli di Dio perché Gesù capovolge i rapporti umani. Il suo amore è concreta disponibilità a farsi dono. L’Eucarestia domenicale attualizza tutto ciò: sacramento dell’amore di Cristo per la sua Chiesa, reale opportunità di partecipare alla mensa che immette nel circuito dell’amore di Dio, è il comandamento culmine del rapporto di amicizia con Lui. Gesù lo ribadisce: «Voi siete miei amici, se fate ciò che io vi comando»: non amicizia condizionata, ma segreto per essere partecipi della sua gioia perché la vera amicizia inizia quando si è pronti a condividere.
La libera adesione al suo invito è la coinvolgente risposta personale. Non si esplicita solo in un concetto, letto nei vangeli e proclamato in chiesa, ma diventa un vitale “sì” di risposta alla tenerezza di chi si dona. Eliminate tutte le barriere grazie alla redenzione gratuita compiuta da Cristo, si rimane nel suo amore superando precedenti delusioni e tradimenti.
Gesù propone questo percorso pedagogico: amarsi vicendevolmente, reciprocità del dare e del ricevere per riempire la vita di tutti come ha fatto Lui. Egli non esita a lavare i piedi ai suoi; non giudica i peccatori, ricerca anche l’ultima persona smarrita col coraggio dell’eroe e la tenerezza del perdono. Metro di questo amore, fondamento di amicizia, non è l’imposizione, la simulazione, una mendicata ricerca di attenzione. La gioia che ne deriva è il sintomo che si è sulla buona strada per celebrare con Gesù la liturgia dell’amicizia cementata dall’unico comandamento, amore che si fa servizio, disponibilità a frequentare gli emarginati, disprezzati da che si sente superiore e non fratello.
Da più parti si sollecita un impegno per la giusta ripartenza. SI propongono ricette, si stilano programmi, si inoltrano richieste, che a volte diventano assillanti pretese. Tra le tante opzioni praticare l’invito alla fratellanza dell’amore cristiano senza misura potrebbe rivelarsi molto utile per arricchire il nostro futuro di una partecipata serenità.
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