In un paese dell’entroterra cilentano la “normalità” viene accolta con lo stesso giubilo e stupore che produce la statua di un santo portato in processione.
La “normalità” è stata invocata per quasi tre mesi, durante le file ben distanziate davanti alle Poste o davanti ai minimarket di paese.
Ci sembra ancora di sentire le signore che, protette da guanti e mascherina, e con una busta di spesa tra le mani, alzavano gli occhi al cielo e dicevano: “‘Cchiù scura r’a mezzanotte nun po’ vnì!”
Ora, non sappiamo se questa mezzanotte è davvero passata, ma abbiamo tutti potuto, timidamente, scostare le tende dalla finestra e iniziare un po’ a “riveder le stelle”.
Sicuramente le stelle le hanno viste anche i commercianti, metaforicamente parlando: la ripresa, in un piccolo paesino, non è sicuramente una passeggiata di salute.
In un borgo di mille anime e poco più, quando la gente si disabitua ad uscire, non bastano due, tre, quattro giorno o una settimana per ricreare le stesse dinamiche preesistenti alla pandemia di covid-19: è quello che pensano i titolari degli esercizi commerciali.
Prendiamo, ad esempio, la situazione dei bar in un piccolissimo paese: diventa quasi una sorta di guerriglia paesana.
C’è chi se ne infischia delle ordinanze e degli orari stabiliti di apertura e chiusura, provando a spaccare il capello e alzando la serranda, al mattino, molto prima degli altri bar, per potersi accaparrare quei due clienti contati in più; c’è chi rispetta le regole e chi invece ci prova a tutti i costi.
La pandemia ci avrebbe reso migliori, hanno detto tante anime belle. Siamo sicuri che sia davvero così?
Risulta davvero triste constatare come questa situazione ci abbia consegnato dinamiche ancora più competitive e distorte, in una sorta di lotta alla sopravvivenza improntata sul motto “homo homini lupus”.
“Mors tua, vita mea”: ma di chi è la colpa? Additare questo o quello sarebbe inutile, ma è doveroso prendersi un momento per riflettere su quanto lo slogan “andrà tutto bene” si sia rivelato essere una colossale cantonata.
Nei minimarket, invece, la situazione non sembra essere cambiata: i negozi di generi alimentari, le tipiche “puteche”, sono sempre state frequentate anche durante la quarantena più atroce.
Sicuramente ora c’è più ottimismo tra il banco frigo e le mensole piene di pacchi di pasta, come se il sole di questo maggio splendente portasse con sé le promesse di un’estate che si immagina felice.
Parrucchieri e barbieri sono stati più invocati della manna dal cielo: tra capigliature leonine e chiome foltissime, non tutti sono riusciti ad acconciarsi i capelli da soli, durante questa quarantena. E c’è anche chi ci ha provato, con scarsissimi risultati di cui pagano ancora le conseguenze.
I vecchietti hanno ripreso ad uscire e rivedere i propri congiunti, qualcuno rispetta le regole in tutto e per tutto e qualcun altro è più discolo.
Nei negozi c’è un clima di massima accortezza, le mascherine sono una “conditio sine qua non”, così come i guanti.
I giovani, che sono rimasti chiusi nel proprio recinto per molti mesi, hanno ripreso ad uscire e anche loro, come gli anziani, si dividono in due fasce, che non mutano col passare degli anni: c’è chi rispetta le regole con serietà e maturità e chi invece se ne lava allegramente le mani (o forse l’aveva già fatto durante la quarantena).
Andrà tutto bene? No, andrà tutto come l’essere umano ha stabilito.
Ci sono leggi di natura che nessuna pandemia potrà piegare, o forse la verità è che ci ha toccato fin troppo “da lontano”.
Troppo da lontano per poter cogliere una buona occasione per cambiare.
Troppo lontano per rinascere.
Monica Acito