I sacerdoti con più di ottanta anni del presbiterio diocesano sono poco più del 19% del totale; se si calcola anche chi ha più di 75 anni e per il diritto canonico dovrebbe rassegnare le dimissioni da parroco, si arriva al 28%. Rispetto ad un totale di 78 preti, sottratti i 28 per limiti dì età, la diocesi di Vallo dispone di appena 50 sacerdoti per le sue 140 parrocchie! Grazie ai religiosi si cerca di porre riparo a questa grave carenza, ma la loro presenza determina conseguenze che saranno analizzate in una prossima nota. Intanto il dato quantitativo dovrebbe indurre ad affrontare con urgenza un problema non più dilazionabile. In attesa di procedere ad una funzionale riarticolazione della proposta pastorale rivedendo la strutturazione del reticolo parrocchiale, è opportuno dedicare una doverosa attenzione ai sacerdoti “giubilati”. Termine quest’ultimo che brilla per il suo carattere di ipocrisia se si considerano le condizioni di questi preti: anziani, malati, soli, ai quali formalmente si dice grazie e il “giubilo” corrisponde al loro abbandono. “Servi inutili”! Hanno sentito tante volte questo aggettivo e, personalmente, ne hanno accettato le conseguenze, però oggettivamente la chiesa locale, per evitare di risultare nei loro confronti matrigna più che madre, dovrebbe dedicare a questa situazione maggiore attenzione.
Può tornare utile e opportuna qualche considerazione esegetica per cogliere l’essenza del sacerdote servo per amore, come si canta nella liturgia. Gli esperti di etimologia ritengono che la parola “servo” derivi dal verbo “serbare”, quindi compito specifico del sacerdote è conservare, custodire il tesoro prezioso del Signore in ogni singola persona. Si chiede a questi “servi” di considerarsi “inutili”, etimologicamente non da intendere “insignificanti”. Infatti, stando all’uso che se ne faceva al tempo di Gesù, l’aggettivo presenta un duplice significato: persona “che non cerca l’utile”, cioè non ha come secondo fine un guadagno. E’ iscritto al “clero”, quindi ha come eredità Dio, se si considera cosa indicava questo termine. In greco l’aggettivo “inutile” significa anche povero, di conseguenza la frase di Gesù implica il concetto di “poveri servi”, cioè che non pretendono di più, a somiglianza di Cristo.
La precisazione semantica coinvolge anche la relazione del singolo sacerdote col presbiterio e, di conseguenza, col vescovo. Infatti, se dal punto di vista soggettivo, come dimensione della propria spiritualità, il prete tende a sentirsi tale rispetto alla potenza della Grazia, certamente in termini oggettivi non va considerato “inutile” e, se non può più lavorare, lo si accantona dimenticandone l’esistenza. Da qui la necessità di considerare come utilizzare, valorizzandoli, i 15 sacerdoti diocesani giubilati perché ottantenni! Non è una questione secondaria perché se prevale il disinteresse allora il prete, servo inutile, diventa addirittura uno zerbino, limone spremuto e messo da parte perché non serve più, situazione veramente paradossale rispetto a quanto asserisce il Vangelo. Infatti, in questa condizione il vecchio prete appartiene alla categoria dei poveri di Jahvè, che dovrebbero essere i preferiti perché per il Signore particolarmente preziosi!
A questo proposito il delegato diocesano per il clero, benché oberato di incarichi e d’impegni, potrebbe trarre spunto dalla lettura di alcuni studi, per indurre curiali e presbiterio ad affrontare il problema. In particolare risulta molto utile il lavoro commissionato dalla Conferenza Episcopale Lombarda all’Università Cattolica sulle prospettive dell’invecchiamento dei sacerdoti diocesani titolato La Vecchiaia che vorrei. E’ un saggio datato perché pubblicato dieci anni fa, ma i risultati circa la prospettive, i desideri e le rivelazioni dei sacerdoti intervistati sono ancora validi soprattutto in relazione alle dinamiche della solitudine e delle solitudini rispetto alla comunione, alla sollecitata condivisione e alla effettiva corresponsabilità, tutti propositi facili da enunciare ma difficili da praticare, mentre un prete con una rete familiare ridotta, se non assente, si pone continuamente ansiogene domande del tipo: chi penserà a me? Non meraviglia, quindi, che Il Regno – attualità, nel secondo numero del 2021 (pagine 51-63) pubblica un problematico studio di Raffaele Iavazzo, dal titolo significativo: Il disagio dei preti.
Il quesito da proporre alla comunità diocesana è il seguente: Preti anziani e perciò inutili?
Si tende a considerare il numero crescente una emergenza e non una risorsa da trasformare in dono. La gerarchia ecclesiastica dovrebbe prendere coscienza delle variegate situazioni di sacerdoti senza responsabilità pastorali di cui prendersi cura e con i quali continuare il pellegrinaggio verso la parusia, quindi non da collocare ai margini come un peso.
Quando il prete va in pensione sperimenta la solitudine per dover chiudere canali di comunicazione fino ad allora importanti per la sua esperienza esistenziale. Perciò, egli ha bisogno di qualcosa in più di un alloggio in cui attendere il trapasso e una infermeria dove poter lenire le sofferenze fisiche. Il sacerdote anziano ha bisogno di sentirsi inserito in una comunità e continuare a vivere da protagonista i giorni che gli restano. Del resto, soprattutto se le condizioni di salute non sono precarie, la vecchiaia non è solo il periodo della pensione, ma una opportunità per dedicarsi con rinnovata gratuità agli altri. In tal modo il prete anziano non è costretto ad inventarsi da solo come occupare il tempo, col rischio di chiudersi in se stesso manifestando rancore e risentimento perché il suo tempo libero si è trasformato in tempo vuoto. Invece, inserito a pieno titolo in una dinamica comunità civile e religiosa, può – ad esempio – animare gruppi di anziani e dedicarsi al ministero della confessione, attività che stimolano la vitalità, sollecitano relazioni, rivelano latenti energie. Così egli continua a mettere a frutto l’esperienza acquisita e, sentendosi ancora protagonista. Parte di un gruppo vivo non gli viene a mancare la speranza e riesce a percepire la gioia di essere amato, atteso, desiderato, quindi non inutile.
La comunità cristiana è tale se è capace di accompagnare l’uomo in ogni stagione della sua vita, prospettando il profumo dell’eternità anche nei sacerdoti, compito precipuo di tutto il presbiterio, autentica compassione del buon samaritano per il confratello anziano, opportunità unica e preziosissima per un costruttivo dialogo intergenerazionale e interculturale tra i preti della nostra diocesi.
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