Mentre il processo di spopolamento continua in maniera inesorabile, non si avverte una piena consapevolezza da parte della politica, sempre più impotente nell’invertire questa deriva.
Indubbiamente si sommano una lunga serie di errori intergenerazionali, conditi dall’ improvvisazione e da una percezione sbagliata dei cambiamenti epocali avvenuti.
Per vari decenni la comunità cilentana ha goduto di attenzioni particolari da parte dello Stato centrale: scuole, acquedotti, tribunali, ospedali, reti ferroviarie, infrastruttuture telefoniche (SIP) ed elettriche (Enel) hanno rappresentato un collettore eccezionale di spesa pubblica che ha consentito la massima occupazione per diplomati, laureati, tecnici, impiegati ed operai.
Una sorta di “industria pubblica” che è riuscita a realizzare il boom economico anche nelle aree interne e perifiche come il Cilento.
Vallo della Lucania ne è stato il simbolo, sommando nel proprio perimetro molte di queste istituzioni, riuscendo ad avere migliaia di posti di lavoro sicuri e ben retribuiti.
Di conseguenza il commercio, l’edilizia, il mondo delle professioni hanno potuto godere di un ragguardevole bacino di utenti, tale da garantire profitti sicuri e duraturi.
Questa è in sintesi la nostra storia, dagli anni ’50 fino alla fine degli anni ’90.
Una dinamica simile a molte altre zone italiane, dove ci si è cullati sulla facile rendita di posizione, fatta di un circuito protetto, senza particolari problemi di ordine pubblico e di contaminazioni criminali. Dove la lontananza dai grandi centri era una garanzia dal rischio di concorrenza e dove addirittura la mancanza di strade ed autostrade veniva vista dall’establishment dell’epoca come una polizza contro il rischio di invasioni indesiderate.
Da qui nacque il germe del “piccolo è bello”, una forma mentis scaturita da un alibi psicologico, quello di non volersi confrontare con realtà più grandi e competitive, le quali avrebbero sicuramente comportato una crescita di mentalità ed un allargamento di orizzonti, mettendo però in discussione l’egemonia economica e politica di certe elites locali.
Come non vedere in quelle circostanze una serie di errori fatali, dettati dall’egoismo e che avrebbero condizionato il nostro futuro?
Era chiaro che non poteva durare in eterno una spesa pubblica prodotta a debito e che non poteva resistere un’economia fondata solo sul terziario pubblico, senza un solido settore primario (agricoltura) ed un inesistente secondario (industria), come un tavolo troppo sbilanciato, con una gamba lunga e due piccole.
Con il taglio della spesa pubblica e dei trasferimenti al Mezzogiorno il risultato è stato disastroso e sconfortante: una popolazione ridotta ed invecchiata, senza un sufficiente ricambio generazionale, causata dalla costante emorraggia di giovani diplomati e laureati, costretti ad emigrare verso le regioni più ricche o addirittura all’estero. Se da un lato la globalizzazione ha favorito certi scambi, sposando le legittime ambizioni giovanili con le opportunità lavorative sconosciute da queste parti, dall’altro lato il Cilento è diventato sempre più una foresta pietrificata, dove l’immobilismo, la cooptazione ed il familismo sono la regola.
L’ ascensore sociale si è fermato da tempo, essendosi ristretta la base occupazionale, insufficiente a garantire un lavoro per tutti. Sovente anche le professioni sono divenute appannaggio di chi ha avuto la strada spianata dai genitori, in prevalenza medici e avvocati, ma anche imprenditori e commercianti, garantendo così una sicurezza solo ai pochi fortunati, per un vincolo di sangue che non sempre è segno di capacità.
Una economia che arretra in una società ferma, non riesce a produrre soluzioni o migliorie, se non quella di salvaguardare se stessa tutelando i detentori delle leve decisionali.
Di conseguenza, anche la dimensione demografica dei comuni ne è lo specchio fedele.
Come possono reggersi delle amministrazioni con 1000, 500 o 300 abitanti?
Occorrono soluzioni drastiche, coraggiose e risolutive.
Progettualità innovative ma, soprattutto, la volontà di rompere certi equilibri stantii.
Costruendo una nuova coesione territoriale, mettendo insieme le migliori risorse, superando campanilismi e rendite di posizione, facendo in modo di attrarre investimenti pubblici e privati, puntando soprattutto sul capitale umano.
Avendo l’umiltà di chiedere aiuto a chi è riuscito a gestire la cosa pubblica con capacità, agli imprenditori di successo. A tutti quei cervelli nati e cresciuti qui che per realizzarsi hanno dovuto fare la valigia, perchè qui sarebbero stati emarginati e condannati alla sconfitta.
Non è tempo di celebrazioni postume, quanto piuttosto di fare una severa autocritica, magari facendosi da parte, lasciando spazio al cambiamento che, in quanto tale, non può essere realizzato da chi lo ha impedito.