Il papa ha inaugurato l’assemblea episcopale generale “per avviare un cammino sinodale”. La possibilità di questa esperienza costituisce una grande opportunità per superare le evidenti stanchezze che segnano le modalità di partecipazione della fede in Italia.
Una presenza corale e fattiva di tutti nella comunità diocesana dovrebbe segnalarsi per gioioso spirito costruttivo e onesta autocritica, pronta a percorrere, sotto la guida dello Spirito, strade nuove in un mondo in continuo mutamento. Quindi occorre prepararsi non ad un evento, come è capitato tante volte in passato, col rischio di cadere in un formalismo celebrativo che continua a lasciare il deludente amaro di occasione perduta, ma un articolato processo, come papa Francesco ha fatto intravedere approvando lo scorso 24 aprile il documento “Per una Chiesa sinodale: comunione, partecipazione e missione”.
Ma nella nostra diocesi risulterà “aperto, inclusivo e partecipativo”, in grado di coinvolgere parrocchie e associazioni? Sarà un processo di profondo ascolto, di autentica discussione, di dialogo sincero, di ricerca comune e di deliberazioni condivise? In piena libertà si cercherà di realizzare finalmente la conversione pastorale, sempre invocata, grazie ad una consultazione che parta dal basso?
Qualche dubbio è lecito se si considera la condizione della nostra Chiesa locale. Essa risente molto dell’esaurimento del modello ecclesiologico che sopravvive nell’immaginario devozionale o nelle nostalgie sentimentali. Sembra oscurato nella sostanza un messaggio evangelico che si dovrebbe vivere nella concretezza di una credibile e convincente testimonianza. Le asfittiche insufficienze registrate nelle parrocchie durante la pandemia rivelano quanto sia labile la trasmissione della fede soprattutto alle giovani generazioni. Perciò diventa essenziale ed urgente riflettere su come i credenti oggi vivono comunitariamente la fede e, di conseguenza, considerare le modalità organizzative.
Il prossimo ottobre dovrebbe iniziare la fase diocesana, da protrarre fino al successivo aprile, un invito alla «consultazione del popolo di Dio», secondo le intenzioni esplicitate dal papa nella costituzione apostolica “Episcopalis communio” del 15 settembre 2018. Si dovrebbero svolgere attraverso gli organi di partecipazione, eventualmente anche con altre modalità ritenute opportune per garantire un discernimento diocesano reale ed efficace.
Di tutto ciò fino ad ora non si è fatto parola. Ad esempio, il consiglio presbiterale, convocato con parsimonia per timori pandemici, non è stato mai investito di questo problema. Nota è la lentezza con la quale si è soliti procedere da paventare una confusa rincorsa alla vigilia dell’inaugurazione dell’assise.
Un problema è determinato anche dalle note resistenze di una parte dell’episcopato, prono al “si è sempre fatto così”. Ancora più deleteri sono i muri di gomma di chi teme il confronto “dal basso verso l’alto“ per una anticonciliare concezione di episcopato monarchico ancora radicata in contesti a noi vicini. Invece si richiede un’apertura mentale, sensibilità culturale ed una coraggiosa leadership per liberarsi di sovrastrutture mentali, radicate negli ambienti dove ci si è formati, sburocratizzare i rapporti soprattutto col clero. Archiviate esperienze condizionate da deludenti incrostazioni pastorali, è possibile implementare una visione della Chiesa locale meno formalista di quanto sia apparsa finora, superare le tante indecisioni e la sostanziale mancanza di sintesi. Il tempo stringe e la necessità di cambiare passo, anzi cominciare a camminare uscendo dal recinto dell’alibi virtuale, lo richiedono i dati dell’inchiesta sociologica riservata che la CEI ha commissionato. Come ha riassunto il cardinale Bassetti, la pandemia «ha messo davvero in ginocchio le comunità cristiane sia a livello di diocesi sia di parrocchie. Pertanto bisogna ancora di più durante i tempi normali mettersi in ascolto della vita delle persone per disegnare proposte che tengano conto anche delle difformità che si stanno verificando nei vari territori». Per il presidente della CEI all’ombra dei campanili la situazione è «veramente preoccupante». Le Chiese locali rischiano il ripiegamento in sé stesse per la rottura di una routine giudicata buona normalità ecclesiale e alla quale molti vescovi vorrebbero contrapporre solo il «rinascere dall’alto».
Ecco perché il cammino sinodale, vissuto secondo le intuizione del papa, può trasformarsi in una coerente opportunità. Esso sollecita presenze episcopali più vicine alla gente e maggiormente corrispondenti alle caratteristiche territoriali delle diocesi. Dotati di più idonee qualità umane, i presuli possono dibattere, finalmente e concretamente, il problema della responsabilità dei laici.
A giudicare dai frutti, evangelico metro di analisi, è lecita qualche perplessità sulla possibilità di successo di quanto ci si propone di fare, almeno fino a quando non emergerà una nuova leva episcopale convinta che il processo sinodale sia un felice strumento per sperimentare una carismatica e feconda leadership.
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