di Giuseppe Liuccio
Filosofi, astronomi, maghi e sacerdoti si sono appassionati nel corso dei secoli allo studio dell’evoluzione della vita della natura nell’alternarsi delle stagioni.
E dove e quando non poteva la razionalità e la scienza si ricorreva al mito che ha creato culti religiosi ed ha fecondato l’arte nella prismaticità multimediale delle sue manifestazioni: letteratura (poesia e narrativa), pittura, musica, teatro e, nei tempi più recenti, cinema ed audiovisivi in genere.
Oggi, con mente più disincantata e libera da sovrastrutture mitologiche e religiose, ma ancora con anima e cuore gonfi di emozioni, osserviamo la natura che si rinnova e rigenera di vita nuova, reiterando e santificando le proprie leggi.
E, ad una attenta analisi, riscopriamo e valorizziamo anche la stagione, L’INVERNO, apparentemente meno esaltante e tradizionalmente ancorata al pregiudizio di letargo/morte e ne subiamo il fascino dei COLORI, ne scopriamo l’intensità dei PROFUMI, ne gustiamo i SAPORI, nella consapevolezza che la natura Magna Mater ci regala, generosa, l’esaltazione di tutti i sensi anche da dicembre a marzo nei tre mesi che intercorrono dal solstizio d’inverno all’equinozio di primavera.
A cominciare da oggi, settimana per settimana, curerò una rubrica dal titolo: LA NATURA HA UN’ANIMA. In cui mi sforzerò di narrare storia, vita, funzione di alberi, fiori e frutti del nostro Cilento, per riscoprirne l’anima appunto. Ho anticipato l’idea nell’articolo che sarà pubblicato sul settimanale UNICO di questa settimana. In questa maniera darò un contributo, spero apprezzato, per riempire di contenuti quello che ho definito “guscio vuoto” del Parco non per polemica preconcetta, ma per atto di responsabilità d’amore per la mia terra. E la natura, infatti, è pronuba di queste straordinarie scoperte, se ne osserviamo la vita con occhio attento e ne ascoltiamo gli echi di voci e suoni misteriosi di piante e fiori e ne annusiamo odori e ne gustiamo sapori. Scopriremo allora una ricchezza insperata.
E ci conquisteranno le macchie di colori di pungitopo nel rosso squillante delle bacche, come quelle delle felci e delle mortelle nel verde lustro di fresca rugiada, e ancora apprezzeremo il profumo gentile dei ciclamini riservati, dei mandorli allo spruzzo tenero della prima fioritura o delle mammole occhieggianti nei fossati a caccia di primo sole, ma assaporeremo anche il succo pastoso di arance e mandarini, della frutta secca (castagne, fichi, noci, mandorle, ecc.). Cominciamo, allora, con l’arancio, che ci regala fiori profumatissimi e frutti appetitosi succosi e dolci. Secondo il mito: le arance sarebbero state i pomi d’oro che Eracle conquistò nel giardino delle Esperidi, dopo aver ucciso il drago che le custodiva. I fiori bianchi, le zagare, che sono profumatissimi, avrebbero dovuto evocare immagini e pensieri sensuali, sono diventate, invece, simbolo di verginità della sposa. Una leggenda narra, infatti, che una ragazza povera non aveva gioielli per adornarsi il capo nel giorno del matrimonio. Vide, però, crescere nel giardino di casa una pianta dai piccoli fiori bianchi e profumati, se ne adornò il capelli e da allora diventarono i fiori di ogni sposa. Le arance poi, hanno ispirato grandi pittori e si ammirano nelle tele e negli affreschi dei nostri pittori rinascimentali: Botticelli, Mantegna, Ghirlandaio, Tiziano. Così come hanno fornito materia di canto a numerosi poeti. L’Ariosto, per esempio, li cita nell’Orlando Furioso, “cedri e aranci ch’avean frutti e fiori/intesti in varie forme e tutte belle”. E Garcia Lorca ne esalta la bellezza nelle terre dell’Andalusia “Porta fiori d’aranci porta olive/ ai tuoi mari, Andalusia”. E passiamo ai fiori per parlare del ciclamino, che fa bella mostra di sé nei mesi invernali nei prati o nei fossati, dove nasce e cresce spontaneamente e nei vasi su balconi e terrazzi di casa, dove è curato a ciuffi di vari colori: bianco, rosso e rosa, e di varie dimensioni. Anche su questo fiore storie e leggende sono tante. Plinio il Vecchio consigliava di piantarne in tutti i giardini intorno alle case perché avevano la funziona di ”amuleti” e neutralizzavano i malefizi dei filtri delle streghe contro le donne incinte. Teofrasto sosteneva, invece, che veniva usato per eccitare la sensualità e facilitare il concepimento Miti e leggende sono anche legate alle piante dei pungitopo e dei katecus, molto ricercate per arredare giardini e case con le loro bacche rosse, che con i loro colori scintillanti comunicano allegria nelle uggiose giornate invernali. Questi sono soltanto alcuni degli esempi di come la natura sia viva sempre e come un albero o un fiore ci faccia compagnia e ci contagi e ci carichi di pensieri positivi. È appena il caso di ricordare che nel mondo antico i nostri Padri avevano profondo rispetto, quasi venerazione, della sacralità della natura e spesso, abbracciando gli alberi, avevano la sensazione di abbracciare una ninfa o un dio. Ecco perché rispettavano la natura; cosa che noi moderni facciamo di meno o non facciamo affatto. Anzi spesso la feriamo e violentiamo. Di qui la necessità, anzi il dovere previsto dalla legge,che questo rispetto per le nostre campagne e per i nostri boschi lo pratichi e lo diffonda il Parco con iniziative di promozione valide: Ne suggerisco alcune: 1) accordi di programma con le scuole di ogni ordine e grado del territorio per una formazione dei docenti sul tema; 2) analogo accordo con i sindacati e le associazioni di categoria (coldiretti, confagricoltori, unione agricoltori, assessorati comunali all’agricoltura e alla zootecnia, agriturismi, ecc. ecc.); 3) Una convenzione con una delle televisioni private operanti nel territorio per una seria formazione del rispetto delle specificità ambientali del Parco per motivare e coinvolgere tutta la più vasta società civile fu fatta con la trasmissione, Il Parco delle meraviglie, ed ebbe un successo strepitoso. Fece conoscere ed apprezzare il Cilento ai Cilentani e scatenò l’orgoglio di identità e di appartenenza (se si cerca negli archivi si troveranno belle testimonianze con insperate sorprese). E ancora sbrigliare la fantasia per spettacolarizzare gli eventi legati alle attività più rilevanti per dell’agricoltura e della zootecnia (mietitura, trebbiatura, vendemmia, raccolta delle olive e della castagne), trasformando in teatri naturali le aie, gli stazzi, le tappe della transumanza, nella consapevolezza che anche le classi più emarginate e sottovalutate hanno diritto ad essere protagoniste della cultura ed a fruirne (L’Editore Laterza ha fatta una esperienza del genere con le “masserie” in Puglia- Ho partecipato a qualcuna ed è stata una esperienza semplicemente straordinaria). Quella che propongo al Parco è una vera e propria “Mission”,che faccia del rispetto e della valorizzazione della natura la centralità del proprio impegno culturale, civile e politico, per dirlo in una parola sola, TOTALIZZANTE, come lo statuto consente ed impone a chi amministra qualsiasi area protetta, in grave difficoltà di dignitosa sopravvivenza, come la nostra. Insomma una “rivoluzione”, culturale, ovviamente, nell’accezione etimologica del termine. Revolvere= cambiare radicalmente e nel profondo. Quella di un intellettuale, operatore dell’informazione, è di pungolarla e stimolarla con idee e progetti, Nel rispetto reciproco, senza retro pensieri, ma accomunati, si spera, dall’ amore per la stessa terra. Io continuerò, settimana per settimana, in questa direzione, con quella scheggia di lucida utopia che mi porto nel DNA e che proclamo ed ostento con orgoglio.