di Oscar Nicodemo
A cavallo tra gli anni ’50 e ’60, Giovanni Desiderio, eseguì una serie di tele e bozzetti “en plein air” che, a mio modesto parere, costituiscono una straordinaria produzione pittorica, dal valore artistico (e commerciale) non indifferente. Il Maestro di Capaccio alta aveva trovato una personale maniera impressionista di estendere sulla tela i colori della “sua collina” e le sfumature delle distese della piana pestana. Luoghi, scorci e angoli di natura di questo territorio diventano il raffigurato poetico di un artista di grande sensibilità e spessore, il cui valore viene riconosciuto anche oltre confini. Quei dipinti, sono firmati, semplicemente, Desiderio, e rappresentano un delicato e sintomatico esempio della pittura novecentesca di chi sperimentava la natura contemplandola con uno sguardo lirico. Le impressioni che Desiderio riceveva a contatto con le luci di paesaggi incontaminati venivano riprodotte sulla tela per ricostruire un luogo paesaggistico di intensa finezza stilistica. Tonalità colte al momento, finivano, così, per costituire esempi pittorici di rara immediatezza, il cui contenuto intimistico resta un elemento caratteristico dell’opera stessa. Non una ordinaria rappresentazione fotografica della realtà, dunque, ma l’esperienza emozionale della propria interiorità di fronte alla natura.
Opere di assoluta completezza estetica fanno della pittura di Desiderio un’arte finalizzata alla cattura di un istante, attraverso l’uso di una tecnica che rifugge il metodo, il nozionismo accademico, il manierismo formale, per dare libero spazio ad una interpretazione evocativa e distintamente materica del paesaggio.
L’artista, oggi 95enne, per realizzare i suoi capolavori a contatto diretto con la natura s’incamminava all’alba, giù per la collina, fino ad osservare da una distanza conveniente il punto dove questa lambiva la pianura. Colazione a sacco e cavalletto con annessi arnesi sulle spalle, se ne andava in cerca dei luoghi dell’anima. Si soffermava in diversi punti, e dopo una giornata intera di lavoro, risaliva la collina, al tramonto, con l’opera portata a termine. Giovanni osservava lo stesso orario di lavoro che un bracciante sacrificava al lavoro dei campi, andando su e giù per un tragitto collinare che è parte della memoria storica capaccese.
E nella lucidità dei racconti del Maestro, che ama ornare i ricordi di particolari significativi e divagazioni leggiadre, si coglie l’essenza di un uomo vissuto d’arte, di pittura, di colori, nella gioia senza pretese e nella sofferenza più dignitosa, nella consapevolezza del proprio talento e nelle speranze disattese. Un’intera vita trascorsa a rincorrere cromatismi per darsi l’unica certezza di cui un artista del suo stampo ha bisogno: esistere in ciò che vede e dipinge.