Una notizia a ciel sereno ha colto di sorpresa la comunità di Capaccio Paestum: “il 26 ottobre del 2023, è morto Nicola Pace!”
I manifesti listati a lutto sono arrivati sulle bacheche comunali molto dopo che la voce era corsa velocissima sui marciapiedi, davanti ai banconi dei bar, nelle piazze, nelle hall degli hotel, tra i tavoli dei ristoranti, nei palazzi del potere, nelle case della Città dei templi … Tutti posti dove Nicola non trascurava di passare, fermarsi, confabulare, salutare, criticare, esprimersi contro e a favore della vita che scorreva nella comunità capaccese.
Nicola era figlio di Giuseppe Pace, ex sindaco di Capaccio Paestum; e fratello di Angela nota architetta e, anche lei, impegnata in politica.
Fino a circa un anno fa, Nicola era titolare e gestiva dell’Hotel che portava il cognome di famiglia situato in contrada Laura dove tenti altri eredi, diretti e indiretti, della famiglia Barlotti hanno avviato e contribuito a trasformare la città famosa per il parco archeologico anche in destinazione turistica balneare e congressuale.
Ed in questo ruolo che ho conosciuto Nicola … era il 2008 quando in un’assemblea di operatori turistici di Paestum decidemmo di fondare il Consorzio Paestum In. Era il tempo in cui Capaccio Paestum era sommersa dai rifiuti, come il resto della Campania, e c’era un forte pressione da parte dei cittadini e, soprattutto, di chi viveva di turismo a indicare soluzioni che, in tempo utile, potessero salvare la stagione estiva che era alle porte.
Nicola era quello più convinto e attivo nell’indicare la via associativa che poteva essere utile anche per altre iniziative comuni che nel futuro si sarebbero potute prendere insieme.
Quando si affacciava nella sede di Paestum In, arrivava prima la sua voce proveniente dall’androne del “centro commerciale” di Laura dove eravamo ospiti della famiglia Pagano – Barlotti, e poi il suo sorriso disarmante e canzonatorio. Con l’andare del tempo, l’ho visto sempre più teso a individuare punti critici nella gestione dei servizi pubblici e ad esternare con “caparbia” convinzione senza mezzi termini. Ovviamente, non mancava di farmi notare che anche la stampa locale non sempre si poneva come contraltare del potere, pur riconoscendone il ruolo essenziale che svolgeva.
Accoglieva sempre con grande piacere la consegna ‘porta a porta’ che facevo e ancora faccio personalmente del settimanale UNICO. Quel momento era sempre l’occasione per intavolare una discussione sui contenuti del numero che sfogliava immediatamente … dovevo sempre “troncare” la sua analisi per necessità di tempo, ma non mi dispiaceva il fatto che ci fosse gente come lui che voleva andare a fondo delle cose.
Sarà stato questo atteggiamento “ipercritico” ad allontanare molte persone da Nicola. Infatti, dopo la cessione dell’albergo, l’ho intravisto un po’ più incupito. Sarà stato perché, avendo anche molto più tempo a disposizione per “vagare” nel grande mare dei fatti e delle opinioni che sono il pane quotidiano che i social ci riversano addosso, è diventato più nevrotico, poco incline ad accettare il confronto dialettico …
Nicola se ne è andato lasciando un vuoto tra le persone che gli erano vicine, ma anche una voragine nella comunità della quale prima il padre e, poi, lui e la sorella Angela li ha visti protagonisti attivi.
L’ultimo saluto che ho scambiato con Nicola è stato abbastanza recente: ero davanti all’edicola di via Magna Graecia, sotto la sede di UNICO. Lui usciva con la “Città” in mano ed io entravo per consegnare le copie del mensile per la vendita. Mi ha sorriso chiamandomi per nome; mi ha “ricordato” che facevo il giornalista e mi ha abbracciato con il suo sguardo, un po’ accusatorio, quasi a dirmi che mi ero un po’ ammorbidito con il potere (al contrario di quanto faceva lui).
Ma la stretta di mano con la quale ci siamo lasciati era un segno di stima, rispetto e incoraggiamento ad andare avanti sul solco tracciato nel tempo.
Alla moglie Tatiana, ai figli Giuseppe e Nicole e ad Angela, la sorella; voglio dire che lo ricorderò sempre come un uomo capace di grandi passioni che non riusciva a trattenere solo per sé e le esternava, come un fiume in piena, sulla comunità in cui viveva.