di Raffaele Scorziello
Era da alcuni giorni che non stava bene, non lo si vedeva più in giro con il suo trattore gommato che usava come automobile facendo preoccupare non poco il figlio Giovanni. La gente di Carretiello, contrada dov’era sempre vissuto, stava molto in apprensione e quando s’incontravano la prima cosa che si chiedevano era: “ Come sta Luigi?”
Il Patriarca, lo chiamavano così perché era il più anziano della contrada ma sempre in attività, non si fermava mai, eppure gli anni, e ne erano tanti, cominciavano a farsi sentire e, a chi gli chiedeva quanti ne avesse, rispondeva in maniera evasiva dicendo che ci voleva ancora tempo prima di intraprendere il lungo viaggio senza ritorno che tutti dobbiamo, prima o poi, compiere.
Era voluto bene da tutti, in campagna lo conoscevano e lo apprezzavano per le sue qualità umane, un grande lavoratore che si distingueva per la sua onestà; per tutti era semplicemente “zi’ Luigi”; non si riposava mai, trovava sempre qualcosa da fare e era molto legato alla famiglia; poteva essere di esempio a grandi e meno grandi.
Lo vidi l’ultima volta il giorno del matrimonio del nipote che porta il suo nome.
Scambiai con lui poche parole poiché aveva difficoltà a parlare in quanto impedito da una mascherina per l’ossigeno. Ci scambiammo un breve saluto con un’indicibile tristezza nell’animo pensando che quella poteva essere l’ultima volta che ci si vedeva. Purtroppo così fu: un brutto mattino una telefonata da Rocca mi rendeva partecipe della scomparsa di un uomo che aveva fatto del lavoro la sua fede. Per circa cent’anni, la sua famiglia e lui stesso avevano prodotto olio finissimo di ottima qualità con i loro frantoi a ciclo continuo e di prima spremitura. Fu molto contento, ma non lo dava ad intendere, quando i nipoti misero la sua fotografia stampata sull’etichetta attaccata alla lattina e anche su altri contenitori in vendita al pubblico. Di quanto fosse voluto bene e stimato da tutto il paese, campagna e centro abitato, si ebbe la misura quando il sacerdote, iniziando la funzione, una marea di gente si riversò in chiesa per assistere alla santa messa occupando quei pochi spazi che erano rimasti; in moltissimi furono costretti a rimanere fuori della chiesa ad assistere alla funzione.
Quando mi arrivò la triste notizia partii subito da Napoli per Rocca e giunsi a casa di Luigi dove vidi una “scena” insolita che non vedevo da lungo tempo: i componenti della banda musicale sparsi in giro alla spicciolata. Per appagare la mia curiosità chiesi ad Amedeo, l’altro nipote, chi aveva chiesto la banda musicale e lui mi rispose che il nonno così aveva voluto. Proprio come si addice a un patriarca. Quando, dopo la messa, giunse l’ora di intraprendere l’ultimo e definitivo viaggio per “Santa Palomma” il luogo dove è ubicato il cimitero, si compose il corteo: il carro funebre avanti, seguito dalla gente ordinata dietro e per ultimo la banda che Luigi aveva voluto. Quando questa intonò la marcia funebre aumentò la commozione e la tristezza fu grande, mentre un pallido sole di un pomeriggio autunnale faceva capolino tra i rami degli ulivi che bordavano la strada e che Luigi aveva molte volte accarezzato anche se solo con lo sguardo. Un lieve venticello piegava i rami sulla strada. Il corteo, giunto all’altezza dei frantoi, si fermò per una breve sosta, nel mentre un turbine di vento più intenso scosse gli ulivi i quali si piegarono verso il feretro quasi a voler salutare per l’ultima volta colui che per tanti anni si era preso cura di loro; la banda intanto con le note della marcia funebre accentuava la commozione generale già tanto grande; non furono pochi quelli che non riuscirono a trattenere le lacrime.
Quella età di cui aveva custodito il riserbo per tanti anni, fu improvvisamente svelata dal tipografo che aveva stampato l’avviso funebre in cui si diceva tra l’altro:
Luigi Quaglia
di anni 93
fu così svelato il segreto che Luigi avrebbe voluto portare con se per sempre!